Antonella Manzione, da capo dei vigili a Palazzo Chigi: “Accolti tra trappole e diffidenze”

Antonella Manzione
Antonella Manzione

ROMA – L”a scena è la seguente – scrive Barbara Jerkov del Messaggero – E’ il pomeriggio di venerdì 20 giugno. Sette giorni prima il Consiglio dei ministri ha licenziato il decreto sulla P.A. e Antonella Manzione, da poco più di un mese capo dell’ufficio legislativo di Matteo Renzi, lascia un palazzo Chigi deserto e monta sul treno che la riporterà a casa, a Forte dei Marmi, per il fine settimana”.

L’articolo e l’intervista completa:

Anche il treno è deserto, o quasi: alle 18 comincia Italia-Costarica al mundial. Il giorno dopo su qualche giornale spuntano retroscena in cui si racconta di una Manzione che se ne scappa, quasi, da Roma portandosi dietro il decreto P.A. perché è tutto da rifare. «Ecco», ricorda nel suo ufficio affacciato su piazza Colonna, la donna cui il premier si è affidato per tradurre in leggi le sue riforme, «c’era stato qualcuno che si era preso la briga di chiamare i giornalisti accusandomi di essermene andata col testo del decreto a Firenze anziché star qui a lavorare. Per dirle come sono stata accolta…».

Oggi la dottoressa Manzione la prende con un sorriso, ma insomma, è chiaro che lo sbarco dei «fiorentini» nel palazzo non è stato facile. Preceduto dalle dichiarazioni di sfratto di Renzi nei confronti dei consiglieri di Stato, veri e propri dominus fino a oggi della macchina burocratica. «A volte», racconta uno di questi ”fiorentini”, «penso che se inciampassi durante una riunione con i vari capi di gabinetto dei vari ministeri, mi ritroverei sbranato da lupi famelici». In effetti, ne sono state dette di cose sgradevoli, in questi tre mesi, e lei ha sempre scelto di tacere. Mai un’intervista, né una dichiarazione. Fino ad oggi. L’hanno bollata con ironia la «vigilessa». La cosa l’ha offesa? «Capendo la strategicità del ruolo che sono venuta a svolgere, l’avevo messo nel conto, è folcloristico metterla così. Quell’incarico a capo della Polizia municipale di Firenze, con la responsabilità di mille persone, non lo rinnego anzi lo ricordo con grande orgoglio. Però ero anche allo stesso tempo direttore generale di palazzo Vecchio, cui fanno capo circa 5mila dipendenti comunali, coordinatore del settore commercio e responsabile della Protezione civile».

Tanti incarichi per una persona sola? «Ho cominciato come vicecomandante, poi man mano che si venivano a creare degli spazi Renzi mi ha chiesto di occuparmene». Perché tutto questo potere proprio a lei? «Perché evidentemente il premier si fida. Non sono raccomandata da nessuno, non sono consigliere di Stato», sorride, «né altro, ma non sono proprio la prima venuta. Sono avvocato, abilitata all’insegnamento del diritto nelle scuole superiori, prima di arrivare a Firenze ho ricoperto l’incarico di magistrato onorario a Pisa, ho avuto una borsa di studio dal Cnr sul diritto di famiglia, per quattro anni mi sono occupata di adozioni internazionali. E ho anche scritto un romanzo, Martina va alla guerra, che nel 2010 ha ricevuto il premio dei lettori per il miglior scrittore toscano».

E Renzi ha scelto di affidarle le leve prima di palazzo Vecchio e ora di palazzo Chigi. «Tra noi è scattato un feeling professionale e anche umano, la nostra è un’amicizia nata sul campo. Quando mi ha chiesto di seguirlo qui a Roma ho accettato con entusiasmo non solo per la grande stima che ho di lui, ma perché credo profondamente nel suo progetto di cambiamento. Anche se la qualità della mia vita, mi creda, è peggiorata drasticamente». Anche lei ora fa la pendolare con Firenze? «Con Forte dei Marmi, dove ho un marito ingegnere: un uomo fantastico che però non si sposterebbe dal Forte neanche con le cannonate. E soprattutto c’è nostra figlia Carolina, che ha 16 anni e spero tanto possa essere fiera di sua madre».

La foto di Carolina è sulla scrivania: una bellissima ragazza, davvero, il ritratto di sua madre alla sua età. Sensi di colpa una scelta così radicale? «Quando stavo a palazzo Vecchio mi ero fatta mettere una brandina della Protezione civile in ufficio… Faccio i conti come tutte le donne con i sensi di colpa, certo, e spero dal più profondo del cuore che un giorno Carolina non me lo rinfaccerà». Dunque ai primi di maggio è arrivata a Roma. L’impatto? «Ho preso servizio il 2 maggio, venerdì di ponte. Può immaginare: tutto deserto. Mi mettono sulla scrivania una pila di fascicoli alta così: lunedì c’è pre-Consiglio dei ministri e mercoledì Consiglio, mi dicono. Io mi metto sotto a studiare le carte, una per una. Arrivo a lunedì che so tutto. Per poi scoprire che non facevano preconsiglio, se si fosse aspettato qualche altro giorno non sarebbe cambiato nulla». Insomma, le hanno subito piazzato lì una prima trappola? «Sapevo che se fossi scivolata sarei morta. Inizialmente diciamo che c’è stata una diffidenza reciproca. Comunque qui a palazzo Chigi e nei ministeri, me lo lasci dire, ho trovato dirigenti molto bravi». Resta il fatto che i grand commis le hanno dato il benvenuto a modo loro. «E’ naturale che chi è appena arrivato sconti diffidenza e magari un po’ di sufficienza, ma poi un modo per collaborare si trova». Vi hanno accusato di fare clan tra fiorentini: il ”giglio magico” s’è detto. «Ma no, nessun giglio a Palazzo Chigi, solo un gruppo di persone abituate da anni a lavorare bene insieme». Lei qui dentro una squadra se l’è fatta? «Renzi mi ha dato carta bianca ma ancora non ho chiamato nessuno, aspetto prima di capire io». Immagino che diversamente dai suoi predecessori non pescherà i suoi esperti dal Consiglio di Stato… «Gli uffici sono fatti di persone, non abbiamo pregiudizi sui ruoli: se uno non è bravo, può avere tutti i galloni del mondo ma non vale niente. E viceversa naturalmente. Ma sa quanto possiamo offrire qui a un consulente? Tremila euro l’anno. Lei capisce bene che o si è molto motivati o non ci viene nessuno». Il premier ha fatto autocritica sui decreti, dicendo di aver sottovalutato l’ingorgo in Parlamento. Incidenti di percorso legislativo, effettivamente, in questi primi mesi ve ne sono stati. Ha anche lei qualche autocritica da farsi? «Io non detto le regole né dò i tempi. E’ chiaro che se i tempi fossero meno serrati potremmo approfondire meglio tutto, un po’ questa tabella di marcia del premier la subisco pure io: mi tocca adeguare il mio perfezionismo alla sua velocità. Quando ero a Firenze mi vanto di essere riuscita a sgomberare il Mayer dopo un decennio di occupazione. E sa come ho fatto? Trattando uno a uno con le persone. Ecco, adesso quando mi sento dire qui ”stai attenta”, sa come mi viene da rispondere? Ma state attenti voi!».

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