Argentina, la battaglia degli eredi di Peron: sfida in aula per il tesoro

Argentina, la battaglia degli eredi Sfida in aula per il tesoro di Peron
Juan Domingo Peron

ROMA – Era una fortuna da più di un miliardo di dollari in ville, terreni, gioielli, auto, abiti, mobili e opere d’arte, ma oggi ne resta a malapena il 2 per cento: 20 milioni di dollari in beni di lusso sparsi per i sotterranei di una banca, che sono bastati a scatenare la guerra giudiziaria che torna in campo questa settimana a Buenos Aires, ma che non riescono a dare prova di quel che a suo tempo fu il tesoro del generale argentino Juan Domingo Peron, accumulato nel corso di tre mandati presidenziali e trafugato nell’arco di quarant’anni di furberie, ambigue aste di beneficenza e strane rivendicazioni di diritto.

Scrive Filippo Fiorini sulla Stampa:

La diatriba per il bottino accumulato in vita dall’uomo che più di ogni altro ha influenzato la storia del suo Paese iniziò il 16 giugno del 1955. Quel giorno, la marina si alzò contro il suo governo, scontrandosi col resto dell’esercito e bombardando la Plaza de Mayo. Peron sopravvisse, ma morirono 400 civili e di lì a tre mesi il presidente fu cacciato da una nazione che rasentava la guerra civile. Gli ufficiali saliti al potere ordinarono l’inventario di tutte le proprietà dell’ex presidente e riempirono circa 5 mila libri contabili con migliaia di oggetti, arrivando a un totale che superava il miliardo di dollari.

Durante le peregrinazioni dell’esilio, che sarebbero terminate nella villa di Puerta de Hierro fuori Madrid, Peron diceva di vivere con poche cose: «Quel che ho lo sapete. I miei stipendi da presidente li ho donati o restituiti. Ho due case in Argentina e godo dei diritti del libro “La Ragione della mia vita” – l’autobiografia della defunta moglie Evita, che gli fruttava 1.500 dollari ogni tre mesi – se qualcuno trova qualcos’altro, se lo può tenere». Molti però presero troppo sul serio questa sua affermazione. Mentre pianificava un rientro che avrebbe tardato quasi vent’anni, rapide e tuttora anonime mani spogliavano metodicamente quegli averi che, per decreto, avrebbero dovuto essere custoditi dalla banca depositaria.

Così, i gioielli che Evita indossava nelle sue raggianti apparizioni sui balconi della Casa Rosada venivano sostituiti da pietruzze senza valore. Le sue scarpe di marca, cambiate con dozzinali calzature da bottega. I capolavori donati dai dignitari del mondo, barattati con dei falsi. Quando finalmente nel 1973 Peron riuscì a tornare in patria, stravinse le elezioni ma, un anno dopo, morì lasciandosi dietro tre matrimoni e nessun figlio. La sua ultima moglie, Isabela Martinez detta Isabelita (che tuttora vive in Spagna), ereditò un patrimonio in gran parte ipotetico e fu accerchiata da molti sedicenti beneficiari.
Per pagare le sorelle di Evita, per esempio, vendette la villa di Puerta de Hierro per 4 milioni di dollari. Poi, mandò un avvocato in Svizzera, a caccia di quei conti segreti che non si trovarono mai. Stessa sorte, anche per il ricavato delle aste realizzate nel corso degli Anni 80: nessun soldo.

Uno dei principali pretendenti alla fortuna peronista è Mario Rotundo, un ambiguo imprenditore che conquistò la fiducia del vecchio Peron ai tempi dell’esilio. Affermando che il General lo designò unico erede, è già riuscito a ottenere per sé e per la sua fondazione centinaia di pezzi pregiati (…)

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