ROMA – Giorgio Napolitano, intervenendo sulla riforma del lavoro, ha spiazzato la sinistra del Pd,
“che ha capito di avere pochi margini per il non detto della battaglia sull’articolo 18, ovvero il sogno di una rivincita su Renzi, l’idea di giocarsi la partita della vita per riconquistare un ruolo di primo piano. Questo tipo di messaggio, soprattutto questo, è arrivato forte e chiaro”,
come rileva Goffredo De Marchis su Repubblica.
Il Fatto apre il giornale con una drastica conclusione:
“Re Giorgio affonda l’art.18”.
Napolitano ha detto lunedì 22 settembre:
“Dobbiamo rinnovare decisamente le nostre istituzioni, le nostre strutture sociali, i nostri comportamenti collettivi: in questo paese che amiamo, non possiamo più restare prigionieri di conservatorismi, corporativismi e ingiustizie”.
Nella cronaca di Umberto Rosso su Repubblica
“Giorgio Napolitano lancia un nuovo forte appello alle riforme: l’Italia non può più «restare prigioniera» di «conservatorismi, corporativismi e di ingiustizie»”
e lo fa
“proprio nel momento in cui Renzi è impegnato in duro un braccio di ferro per la modifica dell’articolo 18 con la minoranza del Pd. Il capo dello Stato non entra nel merito della polemica ma spinge il nostro paese a imboccare con decisione e in sintonia con l’Europa «politiche nuove e coraggiose per la crescita e l’occupazione, soprattutto per i giovani»”.
Si tratta di un richiamo
“a giocare e vincere la partita del cambiamento: «Dobbiamo rinnovarci, metterci al passo con i tempi e con le sfide della competizione mondiale».
Il richiamo di Giorgio Napolitano
“appare in sintonia con i progetti di Matteo Renzi, che dentro il suo partito però incontra forti resistenze, tanto che il suo braccio destro, il sottosegretario Luca Lotti, intima un altolà alla minoranza interna: «Renzi ha vinto le primarie su una linea chiara. E ora, chi le ha perse, non può certo pretendere di dettare la linea al partito».
Tanto più, aggiunge, se prima ancora che il nodo venga affrontato «nella sede propria», la direzione del partito convocata per il 29 settembre, dove i renziani contano di incassare il sì alla riforma del lavoro”.
Riporta Goffredo De Marchis che il verbo di Palazzo Chigi, dove ha sede la Presidenza del Consiglio è che
“per il Quirinale c’è solo il governo Renzi. Non esistono ipotesi di esecutivi tecnici a guida Visco o Draghi. Lo hanno capito così anche i dissidenti. Non esistono alternative. Tantomeno il voto. Con questa realtà bisogna fare i conti”.
Per ora, però, secondo Goffredo De Marchis,
“la cosiddetta “vecchia guardia” non si ferma. «Dice bene Napolitano — premette Stefano Fassina — . Ma non c’è una sfida tra conservatori e innovatori. Le riforme coraggiose possono essere anche di destra. Quindi, il punto è un altro: se Renzi vuole una riforma di destra o di sinistra ».
Spiega Miguel Gotor, che insieme ad altri 10-15 senatori firmerà gli emendamenti alla legge delega ricordando che al Senato la maggioranza ha solo 6 voti di scarto: «La Serracchiani definisce l’articolo 18 un privilegio. È incredibile. Noi pensiamo invece che il reintegro deve rimanere una possibilità accanto all’indennizzo».
Molti scommettono su una retromarcia delle minoranze dopo le dichiarazioni del presidente della Repubblica. Ovvero su un’onesta quanto dolorosa ritirata.Per togliere dal tavolo l’ipotesi di un decreto legge e trovare un compromesso con la minoranza, Renzi aspetta di vedere l’atteggiamento nella direzione di lunedì. In particolare, chiederà di scoprire le carte. Verificando se esiste la volontà di rispettare le scelte, visto che sia Bersani sia Fassina si sono riservati la libertà di voto e le firme sugli emendamenti alla legge delega lasciano intravedere una maggioranza in bilico a Palazzo Madama.
Civati lo dice con chiarezza: «Se il dissenso in aula si limita a dieci voti, non ci sono problemi. Ma se sono cento i parlamentari contrari, puoi anche abolire l’articolo 18 con Forza Italia. Poi però devi salire al Quirinale».“Ecco il nocciolo della questione: le opposizioni del Pd sono pronte ad arrivare al limite di uno strappo che potrebbe far saltare la legislatura? Andare contro Renzi, sembrano dire le parole del capo dello Stato, significa andare contro Napolitano e il Paese. Perché se l’interpretazione del premier è corretta, il Colle non vede alternative tecniche all’esecutivo. Questa è la posta in gioco, in fondo al duello finale nel Pd”.