ROMA – Le baby squillo dei Parioli vivono in case famiglia. Da pochi giorni è stato restituito loro il cellulare. E dopo aver chiesto per mesi l’una dell’altra hanno ricominciato a sentirsi.
Scrive Maria Elena Vincenzi su Repubblica:
(…) Serena ed Emanuela (nomi di fantasia) chissà quante volte avrebbero voluto raccontarsi tutto ciò che è successo. Confessarsi bisbigliando paure, ripensamenti, sensi di colpa. Non era possibile. Si cercavano sempre durante gli interrogatori, non c’è stata volta in cui non chiedessero se era possibile vedersi, «anche solo un attimo», anche solo lì, in un corridoio del tribunale. Ma chi si occupa di loro, magistrati, avvocati, psicologi avevano deciso che era meglio di no. Almeno per un po’. Da qualche giorno, però, i pubblici ministeri hanno disposto che le due ragazzine, che oggi hanno 15 e 16 anni, possano riavere i telefonini. E il primo messaggio se lo sono mandate tra loro. Come se tutti quei mesi non fossero passati. Come se non ci fossero stati arresti, incidenti probatori, condanne. Come se non fossero così lontane, ai due capi opposti di una città che per mesi ha parlato di loro. Non possono usarlo sempre il cellulare, solo quando permesso dalle due comunità che le ospitano. Ma, quando si può, aprono whatsapp e si mandano qualche messaggino. Sognano di potersi vedere, ma intanto si scrivono, raccontandosi le cose di ogni giorno. Come hanno sempre fatto.
Toni e argomenti sono diversi. Perché sono diverse loro. Hanno una vita nuova, più consapevole. Sono ormai giovani ragazze che cercano di ritrovare un po’ di serenità. Non più adolescenti ribelli alla ricerca disperata di una borsa o un paio di scarpe nuove. Hanno imparato, a loro spese, che la vita è altro.
Percorsi di recupero che sembrano andare bene, anche se su due strade diverse. Più facile per Serena, la più grande e la più problematica. La figlia ribelle può contare sull’aiuto della sua mamma, la “buona”, che, tre volte al mese, come stabilito dalla casa famiglia, la va a trovare. Ha ricominciato a sorridere, Serena. Si è buttata sui libri, ha ripreso a studiare. Divora romanzi. Ha gioito come una bambina della promozione agli esami da privatista che ora le spalanca le porte del liceo (faceva il quinto ginnasio); dall’anno prossimo potrà ricominciare ad andare a scuola. Non vede l’ora, Sere, che fino a qualche mese fa la scuola la odiava. Sta imparando a rispettare regole che prima detestava: non può uscire dalla struttura se non accompagnata, va a letto e si sveglia quando deve. Inizia ad aprirsi con la madre, vede la psicologa una volta alla settimana, vuole capire ciò che le è successo.
Ci sono più ostacoli, invece, sul cammino di Manu, la piccolina, la fragile. Ogni tanto riesce a incontrare il fratellino, i nonni e gli zii. Anche lei è stata promossa. Ha fatto amicizia con le altre ragazze della casa famiglia immersa nel verde che la stringe come fosse un pulcino ferito. Ha conosciuto un ragazzo. C’è una simpatia. Una cosa normale, di quelle che si hanno a 15 anni. Anche lei vede una psicologa quattro volte al mese. Va a letto presto e alla mattina esce per andare a scuola. Non si trucca più. Solo jeans e scarpe da ginnastica. Ci sono giorni che sembrano andare bene. Poi, però, chiede della sua mamma. Lo ha capito Manu che non la potrà vedere per un po’. Continua a difenderla, a dire che non c’entra, che non sapeva. Evita televisioni e giornali. Ma ogni tanto la malinconia ha il sopravvento. Lei, scricciolo dagli occhi blu con due vite sulle spalle, si fa forza, cerca di guardare avanti. Ma ha pur sempre 15 anni.
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