ROMA – Gli effetti positivi del Quantitative easing della Banca Centrale Europea annunciato da Mario Draghi rischiano di essere drasticamente ridotti per effetto di nuove regole che la stessa Bce intende imporre alle alle banche vigilate. Una bozza è stata redatta e inviata il 18 dicembre 2014 dal Consiglio di vigilanza della Bce.
L’allarme viene da un articolo pubblicato sul Sole 24 Ore da Claudio Gatti, uno dei pochi veri reporter investigativi che scrivano per giornali italiani: “Il rischio per l’economia italiana è che si riduca sensibilmente l’impatto positivo del tanto atteso quantitative easing”.
Spiega Claudio Gatti: “Con l’innalzamento delle soglie, chi aveva eccedenza la vede adesso erosa e chi stava pericolosamente vicino al minimo teme di scenderne sotto. È logico ora aspettarsi che, per migliorare i coefficienti, le banche deboli cercheranno di abbattere il rischio. Questo riduce inevitabilmente gli spazi in termini di disponibilità di capitale libero per sostenere l’espansione creditizia a favore dell’economia reale. Anche perché, nelle attuali condizioni, la concessione del prestito non presenta gli stessi vantaggi economici e contabili di un’attività assolutamente improduttiva quale l’acquisto di titoli di Stato (sui quali si pagano requisiti patrimoniali prossimi allo zero e non sono richiesti accantonamenti).
Le nuove regole della Bce introducono, spiega Claudio Gatti, “una serie di importanti novità per le banche italiane:
1. non esiste più una soglia minima uguale per tutti, bensì ognuno ha la propria soglia. Insomma si è introdotto il criterio del coefficiente ad institutum.
2- per le banche italiane, anche quelle più virtuose, i coefficienti saranno sensibilmente più alti del minimo previsto finora dalle regole di vigilanza. 3. una terza sorpresa è costituita dalla formula adottata per arrivare a quei coefficienti.
4. è stato ribaltato lo schema tradizionale delle eccezioni: finora si trattava di maggiorazioni – in gergo add-on – che venivano applicate in modo discrezionale dall’organo di vigilanza a chi presentava particolari profili di rischio. In questo caso le eccezioni sono consistite in “aggiustamenti” nella direzione opposta, che cioè riducono il risultato della formula”.A Il Sole 24 Ore, scrive ancora Claudio Gatti “risulta infatti che anche le banche uscite dalla valutazione europea senza shortfall, come Intesa e Ubi, abbiano un nuovo coefficiente più alto (il 9,14% per Intesa e il 9,56% per Ubi)”. Perché La Bce intende procedere così?
Spiega Claudio Gatti: “Poiché i risultati dell’esercizio di valutazione non avevano valenza contabile né forza normativa per incidere sui bilanci, [la Bce] ha usato lo strumento della vigilanza prudenziale per costringere le banche a incorporarne i risultati. Ma apparentemente con una formula che non è stata applicata allo stesso modo a tutti. Per capire meglio, vista la delicatezza della materia, abbiamo prima chiesto un’intervista a Fabio Panetta, vicedirettore di Banca d’Italia e membro del Consiglio di vigilanza di Bce, e poi inviato alla Bce otto richieste di chiarimenti sulla tempistica, i criteri e le procedure adottate. Banca d’Italia ci ha però risposto che «ora non è il caso di parlare di argomenti del genere». Mentre la Bce ci ha inviato una nota che rispondeva solo a tre delle otto domande. In quella nota l’organo centrale europeo ha comunque confermato che «con alcuni istituti sono stati adottati aggiustamenti specifici (institution-specific adjustments). Di conseguenza i livelli di capitale e le riserve di liquidità ritenuti adeguati possono variare da istituzione a istituzione a secondo dei profili di rischio». Insomma, non solo un coefficiente ma anche un trattamento ad institutum. […]
Dai dati resi pubblici dalla Bce e dagli istituti in questione si deduce infatti che con Banca Popolare di Milano, Banco Popolare, Carige e Veneto Banca la formula sia stata adottata senza variazioni, mentre con il Monte dei Paschi e la Banca Popolare di Vicenza siano invece stati adottati “aggiustamenti”. Non stiamo parlando degli “aggiustamenti” fatti a tutti gli istituti sui crediti in fase di Aqr, bensi’ di “aggiustamenti” all’algoritmo.
Nel caso della Bpvi, per esempio, l’applicazione meccanicistica della formula avrebbe portato a un coefficiente minimo dell’11,7% (quindi oltre l’11,6%, come erroneamente riportava l’articolo da noi scritto il 9 gennaio, quando non sapevamo degli aggiustamenti). Vicenza ha invece dichiarato che la sua soglia è «ampiamente inferiore» a quella cifra. […]“Abbiamo chiesto alla Bce sulla base di quali criteri abbia adottato “aggiustamenti” solo per talune banche, e come abbia pensato di evitare il rischio – o la percezione – di un trattamento non equo per tutti. Ma non ci è stato risposto.
Sul fronte dell’equità di trattamento, c’è anche un altro aspetto: mentre l’attività bancaria tradizionale di raccolta e credito, centrale per le banche italiane, è stata sottoposta a un severo esame, l’investimento in titoli obbligazionari e strumenti finanziari complessi, più diffuso tra le grandi banche di investimento continentali, avrebbe avuto un esame molto meno rigoroso. […]
C’è poi la questione dell’incertezza. «Quanto capitale serva alle banche è ancora fonte di incertezza, (e) non sono ben chiari i parametri sulla base dei quali vengono espresse le richieste. Eravamo partiti dal 7% di Basilea. Con la verifica della qualità degli attivi dell’Aqr l’indicazione è stata dell’8 per cento. E ora il superamento degli stress test implicitamente implica un punto di partenza oltre il 10 per cento», osserva Giovanni Sabatini, Direttore generale dell’Associazione bancaria italiana. «Un aumento incerto, con capitale che sembra non basti mai, può portare ad una riduzione dell’erogazione del credito». Quest’ultima è la principale preoccupazione di tutti”.
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