Basta ipocrisie: i lager di Prato van bene a tutti, Gianluigi Paragone su Libero

"Basta ipocrisie: i lager di Prato van bene a tutti"
“Basta ipocrisie: i lager di Prato van bene a tutti”

ROMA – “Basta ipocrisie: i lager di Prato van bene a tutti” scrive Gianluigi Parogone su Libero: “Tra poco finirà l’indignazione e tutto tornerà esattamente come prima. Perché in Italia si fa così”.

L’editoriale:

Costernazione a uso e consumo dei media e poi buonanotte ai… produttori. Si tirerà dritto perché ormai nessuno ci può far nulla. Anzi vuole fare nulla. Non è la globalizzazione, baby?, ti dicono. Ovviamente a noi non sta bene perché di fisco, di burocrazia e di cattivo credito in Italia si muore (non solo in senso metaforico!). Prato è la dimostrazione decennale che il gioco è sporco, è viziato. E onestamente è difficile ripulirlo col politicamente corretto. La comunità cinese è stata fatta crescere nell’invisibilità in barba alle istituzioni.

Le Chinatown d’Italia sono il frutto di una distorsione generalizzata e tollerata. Della quale il maggiore beneficiario non è e non sarà mai il sistema Paese. In questi laboratori aperti 24 ore si produce di ogni, ma come? Con quale qualità? Con quali ricadute sociali? Non si può commentare che il tessile a basso costo non si possa fare in Italia perché la globalizzazione lo vieta, a meno che non si ammetta che la globalizzazione deve coincidere con l’annul – lamento del gioco alla pari. Non può essere che gli imprenditori italiani debbano fare i conti con ogni paletto che lo Stato mette e di contro lo stesso Stato è inerme di fronte al dumping totale in atto. L’abbigliamento a basso costo lo facevamo anche noi in Italia, nel Sud, e questo tipo di mercato teneva in piedi un’economia. A maggior ragione adesso che le buste paga si fanno sempre più sottili non si può consentire solo alle cineserie di accontentare questa domanda, perché altrimenti – avanti di questo passo – cresceranno questi nuovi schiavi per cui è obbligatorio muovere compassione cristiana e contemporaneamente assisteremo a un simultaneo decesso di pezzi di imprenditoria italiana.

Non solo non abbiamo voluto mettere barriere all’ingresso (di misure daziali ha parlato anche ieri Giovanni Sartori sul Corriere), ma abbiamo anche alimentato le Chinatown. Ripeto, così il sistema (già in difficoltà di suo) non può reggere. A Prato c’era un’economia italiana che ora non c’è più: possibile non intervenire prima? Leggo che le indagini sulle morti pratesi vanno a rilento. Grazie tante, quale istituzione ha davvero in pugno la mappa di questo caporalato cinese? Nessuno. In questi anni abbiamo sentito dire a un ex diplomatico cinese in Italia che certi blitz erano di tipo nazista senza che si sollevasse un’insurrezione. Poi se qualcuno contesta i blitz di Agenzia delle Entrate passa per amico degli evasori.

Ecco, è sempre così: la croce addosso agli artigiani italiani si può gettare (perché così il politicamente corretto è salvo), ma se si pretende correttezza dagli stranieri si teme l’etichetta di razzista. Le nuove disposizioni in materia fiscale consentiranno il monitoraggio dei nostri conti corrente, di contro lo stesso Stato spaccone abbassa la guardia sugli scantinati trasformati in laboratorio, sebbene di ognuno di questi si conosca esattamente l’esi – stenza. E che dire dei castelletti concessi dai nostri direttori di banca a favore di questi imprenditori, perché perfettamente solidi e pienamente garanti del nuovo debito, mentre ai nostri piccoli imprenditori si urla in faccia di rientrare? Un tempo le bancarelle dei mercati vivevano accontentando la domanda dei ceti bassi: ora nemmeno gli ambulanti riescono a reggere la concorrenza dei bazar delle Chinatown italiane.

Potremmo continuare all’infinito, aprendo il capitolo della qualità delle merci o della tossicità dei prodotti. Oppure dovremmo chiedere conto ai sindacati e alle forze dell’ordine della violazione sistematica non dico dei diritti ma delle regole minime del buon vivere. Ma a che cosa serve? A nulla perché tutti sanno perfettamente e loro stessi si sono arresi tempo fa. Prendi i sindacati: hanno barattato i diritti dei lavoratori in nome delle larghe intese (legge Fornero docet), figuriamoci se riescono a guardare oltre il loro naso. Spiace proprio dirlo ma ho l’impressione che tutto questo sia tollerato. Perché è molto più semplice andare a tassare i soliti cittadini, sempre quelli. I quali sono troppo per bene per muoversi a ribellione. Vincono i più forti. E non siamo noi.

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