Per battere Beppe Grillo ci vuole un governo: Giampaolo Pansa

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Giampaolo Pansa

“Due personaggi anomali”, un attore comico, Beppe Grillo, e “un imprenditore maniaco di futurologia”, Gianroberto Casaleggio, guidano lo strumento che un numero crescente di italiani ha trovato per “castigare i partiti colpevoli di averci governato male per tutta la Seconda repubblica”. Se in molti lo pensavano, le elezioni di febbraio ne hanno rivelato la consistenza.

Su questa tesi Giampaolo Pansa ha sviluppato il editoriale su Libero di domenica 17 marzo. Scrive Pansa che il Movimento 5 Stelle sembra destinato a crescere, ad arrivare dal 25 al 30 per cento dei voti,

“una crescita inarrestabile, alimentata da una crisi economica che terrorizza le generazioni meno anziane che non sono passate attraverso la guerra e il dopoguerra. E rischia di risultare molto pericolosa per l’esistenza stessa della Repubblica così come la conosciamo oggi”.

Questa eventualità, secondo Pansa, sarebbe

“una sciagura. Il regime che Grillo e Casaleggio vogliono imporci mi atterrisce. La Repubblica verrebbe soffocata da una dittatura di incompetenti o di illusi. Allora gli errori compiuti dai partiti tradizionali sembreranno piccoli passi falsi rispetto al disastro che vedremo. L’Italia diventerà un paese di serie C, sempre più povero. Le altre nazioni europee cercheranno di liberarsi della nostra zavorra. Non saremo noi ad abbandonare l’euro, ma sarà l’euro che ci lascerà in mezzo a una strada”.

I partiti tradizionali, sostiene Pansa,

“hanno il dovere di trovare il modo per fermare i nuovi barbari delle Cinque stelle” e anche se lui “non possiede ricette magiche”

si spinge a elencare alcune idee:

1. “Mostrare un minimo senso dell’onore. La politica non è soltanto marciume, corruzione, tangenti, sperpero di soldi pubblici. I tanti professionisti della politica che non appartengono a questo generone ribaldo hanno l’obbligo di rivelarsi all’altezza dell’impegno che si sono scelti. E di avere rispetto del proprio ruolo. Non bisogna presentarsi al grillismo con il piattino in mano. Chiedendo pietà e offrendo doni. Quando gli avremo regalato il governo, che cosa ci rimarrà da consegnare a Grillo? Le nostre donne, le nostre figlie, le nostre case? […La domanda è rivolta] soprattutto al leader del Pd, Pier Luigi Bersani. Voleva sposarsi con Grillo, ma forse resterà cornuto e mazziato. Anche Nichi Vendola sta commettendo lo stesso errore. Però il suo disastro conterà niente”.

2. “Non avere l’ansia missionaria di aiutare il grillismo a mutarsi in una forza parlamentare. Nessuno sa chi siano per davvero i deputati e i senatori […] nominati dai due padroni del Movimento. All’inizio del Duemila abbiamo visto un gigantesco balzo all’indietro, in piena età feudale. Le famose Parlamentarie sono state un trucco senza pudore. Anche i partiti tradizionali hanno una minoranza di nominati, però non sbandierano l’uso del Porcellum come il massimo della democrazia”.

3. “Non aspettare un giorno di più nel mettere insieme un governo. Il partitismo italiano si è rivelato tanto malridotto da farsi battere persino da un pugno di anziani cardinali, riuniti in conclave per eleggere il nuovo Papa. In un giorno e mezzo hanno risolto il problema. Invece lo Stato laico traccheggia, si trastulla, spreca il tempo in sondaggi, esplorazioni, trattative nascoste, pensamenti e ripensamenti. È un lusso che l’Italia non può permettersi. Decidere un governo, votarlo e metterlo in condizioni di lavorare, è l’arma più forte per rendere impotente Beppe Grillo”.

Secondo Pansa,

“l’unico esecutivo utile all’ Italia è quello formato dai blocchi di centrosinistra e centrodestra, più la pattuglia guidata da Mario Monti. La Casta non è in grado di vararlo? Allora mettiamo in sella un governo di tecnici, scelti dal presidente della Repubblica. Ma decidiamoci, non perdiamo un minuto”.

Pansa ricorda che

“alla metà d’aprile, fra un mese, dovremo eleggere il nuovo capo dello Stato. Varare un governo a tre comporterà dei prezzi tanto a sinistra che a destra.

“Bersani sta già pagando la parte che lo riguarda. Nel giro di un paio di settimane ha subito una mutazione sconvolgente. Sembra un naufrago, pronto ad aggrapparsi al primo relitto. Le candidature democratiche per Camera e Senato rivelano un dilettantismo che nessuno sospettava in un vecchio esperto di apparati e nomine cresciuto nel Pci. Un partito che affidava la presidenza dell’Assemblea costituente a Umberto Terracini e non a un’impiegata dell’Onu, all’esordio in Parlamento”.

“Anche la destra deve sentirsi disposta a pagare un prezzo. Quello più pesante è convincere Silvio Berlusconi a farsi da parte. Capisco che il Cavaliere non abbia nessuna voglia di ritirarsi. Soprattutto adesso che ha visto un coetaneo diventare Papa. Capisco pure che il Cav cerchi una rivincita e speri di trionfare se torneremo a votare in estate o in autunno. Però mi domando: a che cosa gli servirebbe regnare su un Paese in macerie e, Dio non voglia, devastato da una nuova guerra civile? Non crediate che sia un’ipotesi assurda o lontana”.

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