Bilancio Ue. Coesione mangia i fondi, il mondo (Usa, Cina, Giappone) mangia noi

Nelle cronache e commenti sul bilancio europeo delineato venerdì 8 febbraio a Bruxelles, dal coro filo Monti dei giornali italiani, il Sole 24 Ore, voce dei sempre più disperati imprenditori, si stacca per una copertura non solo ampia ma anche critica o quanto meno non soffocata dall’incenso.

Il Sole 24 Ore dedica al bilancio europeo quattro pagine e mette in guardia: non sappiamo come finirà, perché il Parlamento non ha gradito molto e si preannuncia battaglia.

Si comincia dall’articolo di fondo, “Un’intesa al ribasso”, firmato da Guido Gentili, che trae dall’accordo

“l’immagine di un’Europa politicamente piccola e miope”, “che chiude, non a caso, una generale intesa al ribasso” su “un bilancio dell’Unione rattrappito (siamo intorno a quota 1% del Pil, negli Usa supera il 22%) e che per la prima volta nella storia comunitaria taglia il 3% rispetto al periodo precedente 2007-2013. Un bilancio piccolo, che si specchia nel volto “rigorista” dell’Europa a geometria variabile (da notare questa volta l’asse tra Berlino e Londra, che com’è noto si tiene la sua sterlina e che prima della scadenza di questo bilancio terrà un referendum sull’uscita dalla Ue) e che alla “crescita” dedica, più che numeri, parole di circostanza.

“Non solo: a essere penalizzati, mentre resta trasversalmente protetto il settore agricolo, sono i capitoli delle infrastrutture, delle grandi reti di trasporto, telecomunicazioni ed energia, dell’innovazione e della ricerca. Come dire, in barba all’Agenda 2020, non puntiamo sul futuro. Fa una notevole impressione notare, in un’Europa (tranne pochissime eccezioni, tra cui svetta la Germania) sfiancata dalla recessione e dalla disoccupazione, questa perdurante sottovalutazione del problema della crescita. Mentre ad esempio gli Stati Uniti, in un quadro di guerra o guerriglia valutaria mondiale, hanno deciso (atto storico-rivoluzionario) che la politica monetaria della Fed resterà espansiva fin quando il tasso di disoccupazione non sarà sceso al 6,5 per cento. Dovrebbe far riflettere di più, in Europa, l’erosione della base industriale. La crisi ha bruciato oltre 3 milioni di posti lavoro e la quota di Pil legata al settore manifatturiero è declinata al 15,6%.

“La stessa Commissione europea, che vuole invertire questa tendenza, ha focalizzato bene questo punto, ricordando che l’80% dell’innovazione e due terzi dell’export vengono dall’industria e che da ogni posto nel manifatturiero se ne creano fino a due nei servizi”.

Gabriele Meoni e Antonella Scott integrano con la cronaca:

La principale vittima dell’intesa finale è il pacchetto crescita, sacrificato sull’altare dell’agricoltura e dei fondi di coesione. Nelle ultime ore di negoziato sono infatti state tagliate di oltre 10 miliardi le risorse per le reti di trasporto, energetiche e digitali, parte di quel programma «Connecting Europe» che nelle intenzioni di Bruxelles doveva rappresentare un grande piano di rilancio delle infrastrutture europee. In origine doveva avere una dotazione di 50 miliardi, ma a ogni vertice ha perso terreno, fino a scendere a 29 miliardi. È vero che il pacchetto crescita ottiene un aumento del 37% rispetto al bilancio 2007-2013, ma quando era stato deciso quel budget la crisi finanziaria non era neppure in vista, mentre oggi la Ue è ancora in zona recessione. E i 6 miliardi spuntati in extremis contro la disoccupazione giovanile nei Paesi dove è più forte l’allarme lavoro sono una cifra modesta (meno di un miliardo all’anno) rispetto all’emergenza cui devono far fronte.

Agricoltura e coesione restano dunque le prime voci del budget comunitario, raccogliendo il 72,7% delle risorse. Nel primo caso, un calo sensibile (-11%) rispetto all’esercizio precedente, ma meno di quanto temessero Francia e Italia. Sul fronte dei tagli, il meno controverso è forse quello che ha riguardato l’euroburocrazia, ridimensionata con un miliardo di tagli nei sette anni rispetto alle intenzioni di Van Rompuy del novembre scorso”.

Merita una riflessione la parola coesione, visto che si mangia una grossa fetta dei soldi che diamo, attraverso le tasse, alla Ue. Tutti i giornali ne parlano da tempo e anche oggi, sabato 9 febbraio, cui è dedicato in Italia anche un ministero, affidato a Fabrizio Barca, ma tutti danno per scontato che tutti i cittadini comuni capiscano cosa vuol dire. Nel sito europafacile.net viene così spiegata:

“La politica di coesione economica e sociale dell’Ue è finalizzata a promuovere uno sviluppo equilibrato, armonioso e sostenibile [ahi, ahi, ahi, tra un po’ ci sarà anche il sugo di pomodoro sostenibile] della Comunità, riducendo le disuguaglianze tra le diverse regioni europee. Essa è espressione della solidarietà tra gli Stati membri intesa a rendere le regioni dell’Ue luoghi più attraenti, innovativi e competitivi dove vivere e lavorare”.

Quando le parole sono così mielose, aleggia un odorino di falso egualitarismo, consociativismo, odio del merito, disprezzo della competizione e della competitività e sotto sotto anche ruberie, come poi periodicamente e purtroppo episodicamente i Carabinieri e la Guardia di finanza scoprono con risultati purtroppo clamorosi. La cosa fa paura, più che sul piano morale, perché ormai ci abbiamo fatto il callo, quanto sul fatto che mentre in Europa tutti litigano come i polli di Renzo, americani e giapponesi si attrezzano per la guerra valutaria e la Cina marcia come un treno verso il dominio del mondo.

Cosa accadrà prossimamente lo si legge nella corrispondenza di Beda Romano, titolo: “Ue, primo taglio della storia: Riduzione del 3,5% dopo il braccio di ferro dei Paesi del Sud contro il rigore di Londra e Berlino”. Riferisce Romano:

“Anche questa volta le trattative che ogni sette anni segnano il rinnovo del bilancio comunitario sono state ritmate da lunghe maratone negoziali, drammatici scontri politici ed evidenti interessi nazionali. L’accordo raggiunto ieri dopo 26 ore di discussioni tra i leader dei 27 è per molti versi deludente rispetto alle necessità di un’Europa in gravissima crisi economica. Il Parlamento europeo che lo dovrà approvare ha già annunciato battaglia. Eppure, nelle pieghe dell’intesa si nascondono piccoli cambiamenti, se non ambiziosi, almeno significativi.

“La parola d’ordine tra i 27 capi di Stato e di Governo era di parlare di buon compromesso. Nel cercare l’accordo, Van Rompuy ha dovuto trovare un terreno d’intesa soprattutto tra Paesi ricchi (in realtà, sempre più poveri). C’è chi voleva ridurre il bilancio comunitario (la Gran Bretagna); chi tentava di diminuire il proprio contributo (la Germania); chi voleva a tutti i costi uno sconto (la Danimarca, che peraltro lo ha ottenuto); chi cercava soprattutto di difendere gli aiuti ai settori politicamente più premianti, come la agricoltura e la coesione (Francia, Italia, Spagna o Polonia).

“I lunghi negoziati hanno stremato le delegazioni nazionali. Interrotte le trattative numerose volte, alcuni leader sono stati visti appisolarsi nella notte tra giovedì e venerdì sui divani del palazzo di Bruxelles dove ha sede la presidenza del Consiglio europeo, mentre i diplomatici e i tecnici affinavano il testo di un accordo complesso, in tutto 48 pagine che si tradurrà una volta approvato anche dal Parlamento europeo in un centinaio di testi legislativi.

“L’intesa prevede impegni finanziari per 960 miliardi (rispetto a una proposta della Commissione di 1.047,7 miliardi), ma pagamenti effettivi per 908,4 miliardi, un divario sempre esistito ma particolarmente alto questa volta. Per molti versi, il pacchetto si traduce in una vittoria di Londra che voleva una netta riduzione dell’ammontare totale, anche rispetto alle prospettive finanziarie precedenti. La funzione pubblica comunitaria, criticata da una parte della stampa europea per le sue inefficienze e i suoi privilegi, subirà un taglio di 2,5 miliardi e una riduzione del 5% degli effettivi (attualmente i dipendenti sono 55mila).

“Ha ragione chi mette l’accento sul fatto che colpevolmente l’agricoltura continua a essere all’alba del XXI secolo uno dei primi capitoli di spesa del bilancio europeo. Al tempo stesso, nel 2014-2020 assorbirà 373,2 miliardi, meno di quanto proposto dalla Commissione (389,9 miliardi) e soprattutto meno che nel 2007-2013 (420,8 miliardi). Gradualmente, gli equilibri politici e le priorità economiche stanno cambiando. Lo stesso vale per la voce dedicata alla competitività. Il pacchetto prevede spese per 125,6 miliardi, in calo rispetto al progetto della Commissione, ma il 37% in più rispetto ai 91,4 miliardi delle prospettive finanziarie precedenti.

“I Governi dovranno ora convincere il Parlamento europeo che deve approvare il pacchetto a maggioranza. I capigruppi dei quattro partiti più importanti (socialisti, popolari, verdi e liberali) hanno annunciato ieri che non daranno il loro benestare al bilancio «così come è» perché «non rafforzerà la competitività dell’economia europea». Van Rompuy ha risposto chiedendo all’assemblea «di assumere le proprie responsabilità», ricordando che «il bilancio non è una operazione contabile» poiché «la vita, la sopravvivenza di regioni, gruppi sociali interi ne dipendono».

“I 27 sperano che la proposta di introdurre una clausola di revisione del testo dopo due anni consenta di strappare il benestare parlamentare. L’opzione, che ieri il cancelliere tedesco Angela Merkel è parso apprezzare in modo particolare, è un’arma a doppio taglio. Rischia di riaprire un negoziato chiuso con enormi difficoltà, e all’ultimo minuto utile. Al tempo stesso, non si può escludere che l’occasione possa essere utilizzata per migliorare un bilancio ancora troppo conservatore rispetto alle necessità dell’Europa”.

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