“Bosch non ha evaso le tasse”, assolti i manager. Ma non riavrà i suoi 320 milioni

"Bosch non ha evaso le tasse", assolti i manager. Ma non riavrà i suoi 320 milioni
“Bosch non ha evaso le tasse”, assolti i manager. Ma non riavrà i suoi 320 milioni

ROMA, 27 FEB – “Bosch non ha evaso le tasse”, sono stati assolti ieri i manager Bosch, accusati di evasione fiscale in Italia.

L’articolo di Luigi Ferrarella sul Corriere della Sera:

I manager Bosch avevano già pagato nella loro Germania le tasse relative anche a quella parte di produzione della multinazionale nel mirino dal Fisco italiano; poi però nel 2011 con 320 milioni di euro si erano rassegnati a pagare una seconda volta, in Italia all’Agenzia delle Entrate, quelle imposte che la Procura di Milano sosteneva fossero state evase nel 2005-2010 celando una «stabile organizzazione» e precostituendo un contratto di agenzia (risalente per la verità al 1967); ma ieri sono stati assolti proprio da questa accusa di frode fiscale «perché il fatto non sussiste». E mentre in Italia la diversità «genetica» fra contenzioso amministrativo e profilo penale fa sì che l’assoluzione non comporti la restituzione dei 320 milioni versati al Fisco italiano, nemmeno il Fisco tedesco si sogna di restituire all’azienda di componenti auto/elettrodomestici le tasse incassate là per il medesimo titolo: anzi, in un documento ufficiale bolla come «illegittime» e «contrastanti con gli standard europei» le pretese del Fisco italiano riuscito a incamerare l’enorme bis. Beffati e mazziati, quindi, però assolti: il legale rappresentante della tedesca «Bosch GmbHi», Wolfang Malchow, e i firmatari delle dichiarazioni fiscali della italiana Robert Bosch spa, Massimo Guarini e Gerhard Dambach, sono stati assolti dal gip Giuseppe Gennari perché, come argomentato dai difensori Domenico Aiello, Giuseppe Bana, Fabio Cagnola e Francesco Centonze, «non sussiste» il reato punito col carcere da 18 mesi a 6 anni. 
La complessa storia, istruttiva di quanto la farraginosità dell’attuale legislazione fiscale possa a volte farsi scappare le tasse di multinazionali «furbe» e a volte invece rischiare di penalizzare investitori stranieri, inizia quando il Fisco italiano, nelle pur corrette dichiarazioni dei redditi e contabilità della Bosch italiana, ritiene che il distacco di una quindicina di tecnici tedeschi presso clienti italiani come Fiat integri un caso di «stabile organizzazione materiale/personale», e faccia dunque scattare la sottoposizione al Fisco italiano. Il pm Carlo Nocerino e il procuratore aggiunto Francesco Greco valorizzano infatti che quel personale tratti i prezzi, partecipi al marketing, faccia recupero crediti; Bosch replica che i tecnici supportano solo i clienti, che lo stesso tipo di organizzazione in tutti gli altri Paesi non subisce alcun rilievo, e che non vi erano fini di illecito risparmio fiscale visto che i calcoli mostrano come l’azienda negli anni abbia pagato in Germania le stesse tasse (anzi uno 0,5% in più).

Ma alla vigilia di Natale 2011 la Bosch tedesca sceglie comunque di venire a patti con l’Agenzia delle Entrate che chiede addirittura 1,4 miliardi, e tramite un «accertamento con adesione» sborsa 320 milioni di euro. La transazione non può cancellare il versante penale, dove i pm, invece di contestare l’articolo 5 («omessa dichiarazione»), azzardano un esperimento e contestano l’articolo 3, «dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici», individuati nei due contratti di agenzia che legano la Bosch italiana alla casa madre tedesca: e nell’imputazione mettono così assieme le tasse evase in ipotesi dalla Bosch tedesca e le dichiarazioni dei redditi fatte dalla Bosch italiana. L’azienda, oltre a far rilevare come uno dei contratti d’agenzia sia del 2004 ma l’altro sia del 1967 e dunque difficilmente compatibile con l’idea di supportare una frode fiscale di mezzo secolo dopo, presenta al giudice anche la risposta dell’Ufficio delle Finanze di Stoccarda al quesito se, avendo pagato in Italia le tasse pretese dall’Agenzia delle Entrate, Bosch potesse almeno vedersi restituire quelle già pagate in Germania. Ma quando mai, è la risposta sferzante dell’autorità tedesca che infierisce sulla tesi italiana «contrastante con le regole e gli standard europei e internazionali comunemente riconosciuti», lamenta che «non è noto alcun caso del genere in Europa», trova la pretesa italiana «dogmaticamente incomprensibile», e conclude che «la tassazione in Italia è stata effettuata illegittimamente».

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