Carlo De Benedetti, contro Matteo Renzi senza freni. Marco Palombi: come Cossiga

Carlo De Benedetti, contro Matteo Renzi senza freni. Marco Palombi: come Cossiga
Carlo De Benedetti, contro Matteo Renzi senza freni. Marco Palombi: come Cossiga (foto da LaPresse)

ROMA – Paragonandolo al Francesco Cossiga picconatore, Marco Palombi sul Fatto analizza le ultime uscite di Carlo De Benedetti e le collega al superamento di quella soglia di età oltre la quale, con “l’avvicinarsi al confine della propria vita” ci si sente liberi dai lacci delle convenzioni” mentre la personalità è restituita “al naturale. Eversiva, saturnina, oppositiva, autoindulgente e parecchio più divertente: libero infine, grazie a Dio libero infine”.

Gianni Agnelli lo disse una volta compiuti gli 80 anni, Enrico Cuccia mai, Cossiga ci arrivò molto prima, appena oltre i 60.

Secondo Marco Palombi, pare proprio si tratti di

“quel che sta capitando da qualche mese a Carlo De Benedetti: non più manager impettito, finanziere con codazzo, tessera numero 1 del Pd o capo del partito di Repubblica , ma uno di noi. Blogger d’assalto, polemista a 360 gradi, affibbiatore di soprannomi ed editore all’opposizione dei suoi stessi giornali: prodigo di giudizi e frecciate”.

Il primo sintomo è stato, ricorda Marco Palombi,

“quando Carlo De Benedetti affidò il suo racconto sui retroscena dell’arrivo di Mario Monti a Palazzo Chigi ad Alan Friedman, vale a dire un collaboratore del Corriere della Sera che stava scrivendo un libro per Rizzoli”.

Da allora, le cose non sono migliorate, sostiene Marco Palombi: mentre Repubblica,

“tardiva scopritrice del renzismo, nel tempo ne è divenuta la Pravda, il saturnino Carlo De Benedetti ha col nuovo premier un rapporto agonistico. Sono stati amici, poi no, poi di nuovo: ora sono in buona, tanto che il nostro ha preannunciato che sarà di nuovo a pranzo a Palazzo Chigi per spiegare al giovane Matteo come e perché per l’Italia sia meglio dichiarare un parziale default sul proprio debito (“quando mai gli Stati hanno pagato i loro debiti?”).
Non si può dire che Carlo De Benedetti le spari grosse proprio tutte come nel caso del debito pubblico: quando sostiene la necessità della “Google tax” ha ragione da vendere, anche se forse è improprio il termine: messa così, sembra una tassa punitiva di Google, mentre il problema è quello di far pagare le tasse non solo ad ambulanti e camion bar, ma anche alle multinazionali.

Su questo, invece, ricorda Marco Palombi, c’è stato “un momento di vero gelo” tra Carlo De Benedetti e Matteo Renzi. Ha detto in proposito Carlo De Benedetti:

“Ci sono miliardi di utili fatti in Italia da Google, Amazon e Facebook: dovrebbero essere tassati qui. Renzi è contrario, sbaglia: credo sia influenzato dall’ambasciata Usa”.

Nel suo blog sull’Huffington Post, Carlo De Benedetti ha pubblicato

“un post dal titolo “Perché ho paura di Google” (in sostanza, perché è un potentissimo fattore di omologazione sostanzialmente incontrollabile dalla politica e da lui)”.

Il suo meglio, scrive Marco Palombi,

“il nostro l’ha dato al Festival di Dogliani nel weekend: intervistato da Gianni Minoli, Carlo De Benedetti non s’è risparmiato […e…] ha tenuto la scena da dio:
“Magari c’è un modo eccessivo della magistratura di rispondere a Berlusconi, può anche essere, ma la causa è l’impresario Berlusconi”; “magari l’avessero assegnato ai servizi sociali in una struttura sanitaria di Kos (del gruppo Cir, ndr): sarebbe stata una pubblicità eccezionale, l’avremmo trattato benissimo… Non ne sarebbe uscito vivo”.
Gianni Agnelli? “Ottimo ambasciatore, pessimo imprenditore”.
Marco Tronchetti Provera? “Bravo nella comunicazione, di più nella rapina”.
Beppe Grillo? “Abbiamo perso un comico e acquistato un fascistello populista”.
Ferruccio De Bortoli? “Un bravo direttore con delle debolezze: ha dato la terza pagina a Marina Berlusconi, io mi sarei fatto pagare”.
Giorgio Napolitano? “Il Pd gli sta sulle palle” e “si dimette tra poco: al suo posto vedrei bene uno alto e magro, Fassino”.

Gli 80 euro di Renzi? “Sono solo uno spot elettorale”. “Sergio Marchionne ha salvato la Fiat: gli do 10 per immaginazione e coraggio, ma 4 in comunicazione e sincerità perché Fabbrica Italia non era credibile”. Romiti? “Zero”. John Elkann? “Un voto da nipote”. Papa Francesco? “Mi piace molto perché parla il linguaggio della verità e vuole scardinare quella fogna che è il Vaticano, è il Papa dei nostri tempi”. “Lunedì, per non farsi mancare niente, se n’è andato all’assemblea Consob e, quando ha preso la parola il cardinale Scola, s’è alzato e ha lasciato la sala col fratello Franco. Spiegazione di quest’ultimo su Twitter: “Un organo dello Stato non si fa dare lezioni di etica dalla Chiesa”. Dai, Carlo, facci sognare. E noi faremo finta che Sorgenia non sia virtualmente già fallita”.

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