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Cassazione respinge ricorso: “Troppe 100 pagine, ne bastavano 12”

di Emiliano Condò |3 Ottobre 2014 19:20

Cassazione respinge ricorso: “Troppe 100 pagine, ne bastavano 12”

ROMA – Cento cartelle per corredare un ricorso quando ne bastavano 12, le ultime dodici. Con le prime 88 cartelle così tanto di troppo da spingere la Corte di Cassazione a rigettare un ricorso perché “troppo prolisso” e perché, così concepito, “viola le regole del giusto processo”.

A spiegare il senso della sentenza è Lucia Nacciarone sul sito diritto.it. I giudici sono evidentemente infastiditi da un ricorso troppo lungo e soprattutto scorretto. Le prime cartelle, spiega Naccarone, elencano tutte le circostanze e gli indizi non correttamente valutati, secondo la difesa, dai giudici di Appello. Entrano nel merito, insomma. Quando invece la Cassazione non interviene nel merito ma valuta solo la correttezza metodologica e formale dei primi gradi di giudizio.

Scrive Nacciarone:

Con la sentenza n. 20589 del 30 settembre 2014 i giudici di legittimità hanno respinto l’atto presentato dalla difesa, troppo prolisso.
Ad avviso della Corte erano infatti sufficienti le ultime 12 pagine di motivazioni a sostenere il provvedimento, che si fondava ex art. 360, n. 5, C.p.c., su un «omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti», motivo, questo, che aveva sostituito il precedente della «omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio».
Perciò la difesa aveva allegato tutta la documentazione degli atti processuali del giudizio di merito; con ciò, secondo la Cassazione, si è esposta alla violazione del dovere di sinteticità espositiva, desumibile dai principi del giusto processo di cui all’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Gli ermellini hanno condannato la tecnica di redazione degli atti che si risolve nella pedissequa riproduzione di tutti i documenti che la difesa ritiene ignorati o male interpretati. E ciò anzitutto perché costringe il Collegio a leggersi tutto, delegando alla stessa Corte la valutazione di atti che dovrebbe essere fatta esclusivamente in sede di merito, anzi addirittura sollecitandone una diversa interpretazione rispetto a quella accolta dal giudice di merito.

Quando la parte denuncia il vizio di motivazione, concludono i giudici, la Suprema Corte non può riesaminare nel merito gli atti del processo ma deve limitarsi a controllare la coerenza e la veridicità delle argomentazioni poste a sostegno della decisione. 

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