Cecile Kyenge dopo Fermo: “Ho la scorta? Ricevo minacce di morte”

Cecile Kyenge dopo Fermo: "Ho la scorta? Ricevo minacce di morte"
Cecile Kyenge dopo Fermo: “Ho la scorta? Ricevo minacce di morte”

ROMA – Dopo l’omicidio di Emmanuel Chidi Namdi per mano di Amedeo Mancini a Fermo, l’ex ministro del governo Letta ed europarlamentare a Strasburgo Cecile Kyenge racconta il razzismo in Italia. “Giro con la scorta perché subisco ancora minacce di morte”, spiega l’ex ministro, sottolineando come l’odio creato dai politici nei suoi confronti, gli stessi politici che come Mancini la chiamavano “scimmia” o “orango”, sia ancora vivo nonostante il suo incarico sia terminato. L’ultima aggressione l’ex ministro l’ha subita all’aeroporto di Bologna circa un mese fa e non può non chiedersi come sarebbe la sua vita senza scorta, con le minacce di morte che continuano a perseguitarla.

Davide Lessi su La Stampa intervista telefonicamente la Kyenge e chiede alla ministra, pubblicamente offesa e definita scimmia dal politico della Lega Nord Roberto Calderoli in diverse occasioni, come sia la sua vita ora. Per la Kyenge quanto accaduto a Fermo non è un caso isolato, sono in tanti a subire il razzismo e ad evitare di denunciare per paura di ripercussioni e ritorsioni. Per l’ex ministro la colpa è anche della politica e dei toni che utilizza:

“In che senso?  «Nel senso che la comunicazione, il discorso dei politici ha seguito una logica elettoralistica, senza prendersi carico delle parole che pronuncia. Dimenticandosi che le parole sono importanti…Io sono stata definita “una scimmia africana” da un importante leader politico in Italia (il vicepresidente del Senato Roberto Calderoli, ndr). Ma il problema è che tutta la politica italiana, al di là delle condanne verbali, non seppe rispondere».

Nel febbraio 2015 il Senato decise che la frase «Quando vedo la Kyenge non posso non pensare a un orango» (Calderoli dixit), non è istigazione all’odio razziale. Si è sentita parte di una trattativa politica?

«Questo non lo posso dire. Ma la vicenda non è finita. Ora il caso è finito alla Corte Costituzionale perché, secondo dei giudici, il Senato avrebbe commesso una scorrettezza entrando nel merito della questione. L’Aula doveva solo dare o no l’autorizzazione a procedere, non dire cosa è o non è istigazione all’odio razziale».

Al di là della vicenda giuridica che la riguarda, crede che il discorso politico in Italia abbia delle derive razziste?

«Se devo darle una risposta netta le direi di sì. Il razzismo esiste ma non bisogna generalizzare il fenomeno. Anche perché, questo l’ho sempre creduto e ripetuto, l’Italia non è razzista».

Però anche lei ha parlato di altri episodi. Solo per fare un esempio: un mese e mezzo fa un tunisino è stato picchiato a morte da un gruppo di persone a pochi chilometri da Parma. E c’è chi parla di «intolleranza a bassa intensità». Condivide questa espressione?

«L’intolleranza, inutile negarlo, c’è. Ma bisogna fare attenzione a non confonderla con il razzismo. Che è fatto di intolleranza, ma non solo. Di certo serve un cambiamento culturale e politico».

Invoca un cambiamento culturale. In che senso?

«I politici che pronunciano frasi che incitano al razzismo hanno un effetto devastante nella società. Magari non se ne rendono conto, ma hanno degli effetti sulle persone, sui loro discorsi in casa, in famiglia, con gli amici…Vede, io è da quando sono diventata ministro che giro con la scorta. Hanno creato un clima d’odio nei miei confronti. E quell’odio è rimasto nella testa di tante persone. L’ultima aggressione l’ho subita un mese fa, all’aeroporto di Bologna. È per questo che, anche a Fermo, mi costituirò parte civile»”.

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