ROMA – Il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova, resterà presidente della Cei fino alla fine del suo mandato, il secondo, che scade nel marzo del 2017. Solo allora i vescovi italiani saranno chiamati, per la prima volta, a eleggere una terna di nomi, all’interno della quale il Papa sceglierà il nuovo presidente.
La decisione di Papa Francesco di confermarlo fino a fine mandato, e di non dare quindi corso immediato alle nuove norme per l’elezione del presidente, è stata resa nota ieri, lunedì 22 settembre, dallo stesso Bagnasco, in apertura della sessione autunnale del Consiglio Episcopale Permanente, poche ore dopo essere stato ricevuto in udienza da papa Bergoglio.
All’inizio della sua prolusione al “parlamentino” della Cei, Bagnasco ha ricordato come nell’assemblea generale dello scorso maggio, aperta dall’incontro con papa Francesco, i vescovi abbiano “rivisitato il nostro Statuto e il regolamento su alcuni punti”.
“I risultati – ha quindi spiegato – sono stati prontamente presentati al Santo Padre che ha espresso piena soddisfazione, ed hanno già ricevuto la ‘recognitio’ della Santa Sede”.
Le modifiche apportate, ha ulteriormente fatto sapere il presidente dei vescovi, “andranno in vigore – per espressa volontà del Sommo Pontefice – alla scadenza dell’attuale mandato del Presidente”.
Scrive Bruno Viani sul Secolo XIX:
Il tradizionalista Bagnasco, cultore della liturgia e filosofo, non sarà però il paravento di una rivoluzione posticipata al dopo-Sinodo. Di lui, papa Francesco ha imparato ad apprezzare i toni apparentemente concilianti che stemperano le tensioni e non spostano gli obiettivi: uomo per tutte le stagioni ecclesiali, perché naturalmente sospeso tra i due opposti mondi della conservazione e del balzo in avanti post-conciliare.
I vecchi preti genovesi spiegano che un vescovo viene scelto in base a tre elementi. I primi due sono la santità di vita e la cultura personale, il terzo è una libera traduzione dal greco che fa riferimento alla filosofia di Aristotele e alle sue categorie, un passaggio metafisico ardito in cui l’altezza della metafisica viene riportata a livelli più umani dalla concretezza del dialetto. Per diventare vescovo, spiegano i vecchi preti genovesi, nella carriera ecclesiale di un sacerdote serve anche “n’assidente”. Anzi: “n’assidente che te porte”.
Il primo assidente che aveva riportato nel 2006 Bagnasco nella sua città con la promessa della porpora era la vicinanza al cardinale Dionigi Tettamanzi e all’allora potentissimo cardinale Camillo Ruini, ovvero due volti diversissimi della Chiesa. Monsignor Angelo aveva 66 anni e molti preti con i capelli bianchi, che guardavano ancora a Siri come punto di riferimento ineludibile, avrebbero preferito vedere alla cattedra di San Siro il vescovo Mauro Piacenza, ma tant’è: anche Bagnasco dava garanzie di conservazione e lo dimostrava già nell’abbigliamento episcopale.
Il secondo assidente che ha portato Bagnasco alla Cei è stata la cordata genovese che ha segnato la vita in Vaticano per tutto il pontificato di papa Ratzinger, fatta di amore ed odio con il segretario di Stato Tarcisio Bertone che inizialmente si aspettava di poter mantenere, attraverso quello che considerava un suo uomo, un legame forte con tutto ciò che aveva lasciato in sospeso a Genova: previsione clamorosamente sbagliata.
Più difficile è dare un solo volto al terzo assidente, quello che fa di Bagnasco l’uomo del sinodo che potrebbe cambiare profondamente la Chiesa. Per il mondo della Curia genovese, papa Francesco lo ha confermato perché crede in lui e ne apprezza le doti, a cominciare da quella capacità di appianare le tensioni che gli ha consentito di attraversare i tappeti curiali senza problemi in ogni stagione.
Bagnasco serve a papa Francesco per bilanciare gli slanci del clero progressista che ha grandi aspettative alla vigilia del sinodo. E (forse) la sua scelta svela un volto papale più conservatore, malgrado le apparenze, di quanto sia stato dipinto.