ROMA – “Renzi ha fretta per via dell’incontro dei capi di Stato europei di mercoledì, e lo capisco. Il punto è come arrivare all’accordo. Non vorrei che per chiudere purchessia scegliesse la via della fiducia”: queste le parole di Cesare Damiano, ex ministro del Lavoro del secondo governo Prodi e deputato del Pd, intervistato dalla Stampa.
L’esigenza non è dettata solo da ragioni di immagine, ma anche pratiche: dal sì dipende il via libera dell’Europa a maggiore flessibilità di bilancio.
«Non credo a questo automatismo, in ogni caso non baratterei maggiore libertà dei licenziamenti per ottenere quel risultato. Altrimenti siamo alle solite: obbedire alle logiche della Troika. Noi abbiamo avanzato alcune obiezioni. Se si vuole un risultato per domani, occorre un compromesso».
Ovvero?
«La minoranza ha presentato sette emendamenti, il governo ne deve tenere conto. Ad esempio: quante saranno le risorse aggiuntive per la riforma degli ammortizzatori sociali? Un miliardo e mezzo è poco: al massimo permette di coprire 178.000 lavoratori per un anno a 700 euro lordi mensili. Che significa nel dettaglio “semplificazione delle forme di lavoro precario”? Ancora: in caso di demansionamento chiediamo che venga mantenuto il livello retributivo. Infine i controlli a distanza per i lavoratori: un conto è mettere presidi a sicurezza degli impianti, altro è la telecamera che controlla il dipendente».
E sull’articolo 18, che è poi il vero nodo della trattativa?
«Nell’ultima direzione Pd abbiamo fatto un passo avanti che mantiene l’attuale tutela dell’articolo 18 anche nei licenziamenti disciplinari: vorremmo che questo punto fosse ribadito nella delega».
Che equivarrebbe a non cambiare nulla. Non è così?
«Non possiamo dare deleghe in bianco».
Siete favorevoli alla tipizzazione del concetto di licenziamento disciplinare? Su questo la legge Fornero è generica? O no?
«Vedremo cosa ci sarà scritto nei decreti delegati che arriveranno successivamente. Giudicheremo sulla base di quel che il governo proporrà, anche se il tempo è tiranno e 48 ore sono poche. La posizione ideologica dell’Ncd non aiuta».
Pessimista?
«A mio avviso una ulteriore riforma dell’articolo 18 non produrrà un solo occupato in più. Il problema semmai è quello di far scendere ulteriormente il cuneo fiscale. In ogni caso, la discussione non si chiude in Senato, ci sarà spazio alla Camera».
Se le cose stanno come dice lei perché per ogni dieci nuove assunzioni meno di due avvengono attraverso contratti a tempo indeterminato?
«Perché ci sono troppe forme di lavoro flessibile, e la crisi aumenta l’incertezza delle imprese. Noi abbiamo proposto una mediazione che ci sembrava ragionevole: un lungo periodo di prova per i giovani superato il quale ci sarebbe stata la piena tutela dell’articolo 18».