I cinesi puntano Snam e Terna, Gianni Dragoni sul Sole 24 Ore

Snam e Terna, i cinesi pronti all'assalto
Snam e Terna, i cinesi pronti all’assalto

ROMA – I cinesi puntano Snam e Terna avverte il Sole 24 Ore: “Il gruppo cinese State Grid of China è interessato a quote delle reti del gas (Snam) ed elettrica (Terna) che dovrebbero essere cedute con il piano di privatizzazioni del governo. A un mese e mezzo dall’annuncio fatto dal premier Enrico Letta, non sono ancora definiti dettagli e scadenze del programma e gli incassi sono incerti”.

L’articolo di Gianni Dragoni:

Il premier aveva parlato di incassi dalle dismissioni «tra i 10 e i 12 miliardi» di euro quest’anno. Solo la metà di questo importo peraltro verrebbe destinata al contenimento del debito pubblico, che ha raggiunto i 2.085 miliardi a fine ottobre 2013. L’altra metà dei proventi, secondo Letta, servirebbe a rafforzare il capitale della Cassa depositi e prestiti (Cdp), la società pubblica controllata dal ministero dell’Economia con l’80,1% utilizzata negli ultimi anni come veicolo per trasferire pacchetti azionari detenuti dal ministero dell’Economia, con effetti puramente contabili sul bilancio dello Stato.
Adesso però le stime di incasso annunciate da Letta sono considerate da molti ottimistiche. Nell’attuazione del piano sono emerse difficoltà, in particolare, come già riferito dal Sole 24 Ore, nel far decollare e completare in meno di 12 mesi il piano di riacquisto di azioni proprie dell’Eni per il 10% del capitale. L’operazione buy back, partita solo ieri, secondo Letta dovrebbe essere propedeutica alla cessione della quota posseduta direttamente dal Tesoro nell’Eni (il 4,3%, con un valore in Borsa di 2,73 miliardi), per evitare che la partecipazione pubblica complessiva scenda sotto il 30% (la Cdp possiede il 26,7%) esponendo il gruppo energetico al rischio di scalate. La soglia del 30% consente di controllare una società quotata con un impegno di capitale relativamente basso, perché chi volesse andare oltre il 30% dovrebbe lanciare un’offerta pubblica d’acquisto allo stesso prezzo sull’intero capitale (il 100% dell’Eni in Borsa vale 63,5 miliardi).
Un precedente buy back dell’Eni sul 10% del capitale è stato fatto in nove anni, quello appena scattato secondo fonti finanziarie potrebbe durare almeno 5 anni. Quindi se Letta vuole portare a casa nel 2014 i 2,7 e più miliardi stimati dalla vendita del 4,3% dell’Eni deve cambiare strada: un’ipotesi sarebbe lasciar scendere la quota pubblica al 25%, ma una decisione non è stata presa.
Il primo progetto allo studio è la cessione di una quota delle grandi reti di trasporto del gas (Snam) ed elettricità (Terna). Lo Stato ha circa il 30% di entrambe le società, queste azioni sono nel forziere Cdp. Il pacchetto Snam è dentro una nuova controllata di Cdp, la Cdp Reti, nella quale è previsto confluisca anche il 29,9% di Terna e il controllo del gasdotto Tag, anche questo posseduto dalla Cdp “madre”. Il piano prevede quindi che venga venduto a un soggetto il 49% della Cdp Reti, che è una scatola cinese, contiene solo azioni di altre società e non darebbe ai futuri soci poteri di gestione, in quanto il 51% della società resterebbe allo Stato. Questo aspetto potrebbe rendere meno appetibile questa dismissione. Gli interessati a Snam e Terna sono soprattutto fondi infrastrutturali e sovrani, si è parlato di Qatar Holding e del canadese Borealis.
Fonti finanziarie riferiscono che ora c’è il concreto interesse di un importante gruppo pubblico cinese, State Grid corporation of China, produttore di elettricità e gestore della rete elettrica in Cina. Nel 2012 il gruppo cinese ha comprato il 25% della Ren, la società che gestisce la rete elettrica in Portogallo ed è interessato ad espandersi in Europa.
La seconda operazione che sta per essere avviata è la procedura, previa selezione dell’immancabile advisor finanziario, per la vendita del 40% dell’Enav, la società che gestisce il controllo del traffico aereo civile, rilanciata dall’amministratore unico, Massimo Garbini. Sull’Enav c’è l’interesse di fondi infrastrutturali, tra questi potrebbe farsi strada F2i guidato da Vito Gamberale, che ha già acquisito partecipazioni in aeroporti (tra cui la Sea di Milano). Governo e advisor devono decidere se fare un’asta competitiva tra potenziali partner industriali o portare la società in Borsa. L’incasso previsto è sui 500-600 milioni.
La quotazione è la strada che verrà percorsa per la cessione del 40-50% di Fincantieri, con un incasso stimato sui 600 milioni. Dossier più complesso è l’annunciata cessione del 60% della Sace, società “venduta” a fine 2012 dal Tesoro alla Cdp per 6 miliardi. Il venditore deve valutare se fare un collocamento al pubblico e la quotazione in Borsa oppure vendere la Sace a un operatore (si è parlato dell’interesse di Generali).
Tra le operazioni annunciate da Letta la vendita del pacchetto del Tesoro nella StMicroelectronics (Stm), la società di semiconduttori di cui lo Stato possiede, con quote paritetiche insieme allo Stato francese, il 27,53 per cento.
Nel dicembre 2010 la Cdp ha ceduto al ministero dell’Economia le proprie quote in Stm in cambio di azioni Eni. Adesso le stesse quote – il cui valore di Borsa è di 725 milioni – dovrebbero fare il percorso inverso ed essere “vendute” alla Cdp, che è una Spa pubblica, o a una sua controllata, il Fondo strategico italiano. Si potrebbe chiamare privatizzazione una simile operazione?
Letta ha annunciato anche la vendita di Grandi Stazioni, la società controllata al 60% dalle Ferrovie dello Stato che gestisce la stazione Tiburtina e ha il compito di valorizzare e gestire le altre 13 maggiori stazioni italiane, tra cui Roma Termini, Milano Centrale, Torino Porta Nuova, Bologna e Napoli Centrale. Nel 2000 il 40% della società fu ceduto dalle Fs a un gruppo di soci per 405 miliardi di vecchie lire, pari a 209 milioni di euro. Questi soci, riuniti nella Eurostazioni Spa, sono la famiglia Benetton con Edizione Srl, Francesco Gaetano Caltagirone con Vianini Lavori e la Pirelli & C. (ciascuno ha il 32,7% di Eurostazioni); insieme a loro ci sono le ferrovie francesi (pubbliche) Sncf, con l’1,87 per cento. Secondo fonti finanziarie, con la dismissione del 60% detenuto dalle Fs anche i soci di minoranza detentori del 40% potrebbero uscire. E chi compra? Si parla sempre di fondi infrastrutturali. Il 100% di Grandi Stazioni, che nel 2012 ha espresso ricavi consolidati per 199,7 milioni e un utile netto di competenza di 19,8 milioni, con mezzi propri per 166 milioni e debiti finanziari netti per 163,5 milioni, potrebbe valere poco più di 500 milioni.
Richiederà tempo infine il dossier della quotazione di Poste Italiane. Prima di poter andare sul mercato la società guidata da Massimo Sarmi dovrà rinnovare la convenzione con la Cdp per la remunerazione del risparmio postale e firmare il contratto con lo Stato che regola il servizio universale, ma anche dimostrare la validità dell’intervento di 75 milioni – chiesto da Letta – nel piano di salvataggio dell’Alitalia.

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