Coronavirus, diagnosi con un esame del sangue? Molte regioni hanno già comprato il kit

ROMA  –  Diagnosticare il coronavirus con un semplice esame del sangue anziché con il tampone rino-faringeo. Sono sempre di più le regioni che puntano a limitare i contagi con questo metodo, che però non è ancora stato riconosciuto perché fornisce risultati troppo incerti, il cui risultato “dipende molto dall’esperienza dell’esecutore e del valutatore”, ha spiegato Adriano Mari, amministratore del gruppo Caam (Centri associati di allergologia molecolare di Latina), a Vincenzo Iurillo e Marco Lillo del Fatto Quotidiano. 

Il test del sangue, spiegano Iurillo e Lillo sul Fatto, 

dice se e quanti anticorpi di tipo IgM e IgG sono stati prodotti dall’organismo. Gli anticorpi Igm rilevano una reazione al virus agli inizi, mentre gli anticorpi Igg sono quelli stabili che dimostrano la reazione immunitaria del corpo. Il test del sangue, pur non essendo riconosciuto per i suoi margini di incertezza, è più veloce del tampone ed è disponibile sul mercato a prezzi bassi: 7 euro l’uno all’ingrosso”.

Diverse sono le regioni che hanno comunque deciso di comprare kit di questo tipo di esami: Campania, Liguria, Toscana, Marche, Lazio, Puglia. 

C’è un però, spiegano Lillo e Iurillo: 

Federfarma, l’associazione di categoria, ha invitato le farmacie ad “astenersi dall’acquisto” perché per il Comitato tecnico-scientifico del ministero della Salute, “a oggi, i test basati sull’identificazione di anticorpi (sia di tipo IgM che di tipo IgG) diretti verso il virus Sars-CoV-2 non sono in grado di fornire risultati sufficientemente attendibili.

Il test del sangue, ha spiegato Mari al Fatto Quotidiano,

“dovrebbe essere usato soprattutto per eseguire studi epidemiologici ed è uno strumento troppo delicato per lasciarlo ai laboratori o addirittura al dettaglio. I risultati del test possono essere 4. Se il test risulta negativo per IgM e IgG, il soggetto asintomatico non ha ancora incontrato il virus e non ha maturato alcuna risposta di difesa; con IgM positive e IgG negative potrebbe avere l’infezione in corso da pochi giorni e qui si può fare il tampone per essere certi e procedere all’isolamento; con IgM positive e IgG positive: il soggetto è ancora in una fase iniziale di infezione, ma sta maturando una risposta di difesa protettiva; con IgM negative e IgG positive: il soggetto ha raggiunto uno stato di protezione e ha superato l’infezione indenne. Questa condizione potrebbe liberare molte persone dall’incubo del contagio”.

Mari sottolinea però come sia

necessaria una validazione clinica ed epidemiologica di questo test e i suoi risultati dovrebbero sottostare, come i tamponi, alla centralizzazione, dopo opportuna trasformazione in valori semi-quantitativi”.

Il problema, sottolineano Lillo e Iurillo, è l’affidabilità dei test, come sottolineato anche dal professore Giancarlo Icardi del Policlinico San Martino di Genova:

“Su soggetti positivi ai tamponi abbiamo avuto oltre il 98% di positività con il test sierologico tra i 4 e i 10 giorni dalla comparsa dei sintomi mentre sui campioni di soggetti asintomatici e con storia clinica negativa per sindrome influenzale nei due mesi precedenti (300 campioni circa), abbiamo riscontrato risultato negativo al test nel 99,5%. Ora passiamo a fare i test su 500 operatori sanitari. Ci servirà a capire quanti di loro sono stati contagiati”.

(Fonte: Il Fatto Quotidiano)

 

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