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In dieci anni gli stipendi statali sono saliti di 40 miliardi. Castro, Libero

di Gianluca Pace |28 Marzo 2014 10:57

In dieci anni gli stipendi statali sono saliti di 40 miliardi. Castro, Libero

ROMA – “In dieci anni gli stipendi statali sono saliti di 40 miliardi” sono i dati della Cgia citati da Libero.

“Sono tanti, oltre 3 milioni e 200mila – scrive Antonio Castro – Senza dimenticare gli oltre 200mila precari e tralasciando il plotone robusto dei consulenti (o camuffati come tali) che orbitano intorno alla macchina statale (spesa 2013 oltre 1,3 miliardi).E costano complessivamente 168 miliardi (dati 2013). Ed è già un successo di contenimento delle uscite, perché basta scorrere la serie storica delle retribuzioni del settore per scoprire che dal 2001 ad oggi il monte salari è lievitato di oltre 40 miliardi”.

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Nel dettaglio – ha fatto di conto l’associazione artigiani di Mestre guidata da Giuseppe Bortolussi – « tra il 2001 e il 2010, nonostante il numero dei dipendenti pubblici sia diminuito di 162.000 unità, la spesa complessiva per le retribuzioni del settore pubblico è aumentata di oltre 40 miliardi di euro. È chiaro che questi aumenti non hanno interessato in misura significativa le buste paga degli infermieri, degli insegnanti di scuola media o dei netturbini, ma, in particolar modo, i compensi degli alti livelli dirigenziali e quelli dei manager. Solo successivamente, a partire dal 2010, si è deciso di frenare questa escalation», puntualizza Bortolussi,«bloccando gli stipendi di tutti i dipendenti pubblici, penalizzando oltre misura solo chi non aveva ricevuto in precedenza degli aumenti adeguati».

I famosi 40 miliardi di aumento delle uscite per pagare questa montagna di stipendi – più o meno il 10% del Pil a valori correnti – hanno insomma premiato (nel portafogli), più dirigenti e quadri. Quando poi c’è stato bisogno di fare cassa (Tremonti, Monti), si è pensato bene di congelare tutte le retribuzioni del comparto pubblico, non indicizzando i redditi, rinviando i rinnovi contrattuali, limando gli adeguamenti salariali. Non è solo l’Italia ad aver attinto al bancomat dei dipendenti pubblici. Non c’è spesa più facile da tagliare di una limatina alle uscite mensili. Un po’ alla volta dal 2010 ad oggi si è passati dal picco dei 172 miliardi e spiccioli ai 168 miliardi e mezzo del 2013.

Un risparmio secco di 4 miliardi e mezzo. Una tendenza -quella di iniziare a tagliare proprio dalle retribuzioni del comparto pubblico – già registrata in Europa e comune a tutti gli altri Paesi in crisi (Spagna, Grecia, Portogallo, Irlanda). Da noi, anzi, si è intervenuti con un po’ più di grazia e agendo meno (in percentuale) sul contenimento delle retribuzioni. In Portogallo, ad esempio, il taglio non ha riguardato solo il mancato adeguamento contrattuale e al costo della vita, ma ha inciso pesantemente proprio sul salario base (decurtazione del 16,8%). Pesante la mannaia della Grecia cha ha tagliato le retribuzioni del 10,3%. Un po’ più contenuta la limatura sostenuta dai travet irlandesi che hanno dovuto rinunciare in media al 4,6% dello stipendio. L’azione annunciata dal presidente del Consiglio Matteo Renzi di intervenire sugli stipendi della dirigenza pubblica (tra i più alti d’Europa), parte proprio da questa valutazione (e dalla necessità di reperire risorse). Ma anche da un preciso obiettivo assegnatoci, a suo tempo, da Bruxelles. «Nell’immediato l’intenzione è quella di intervenire su tutta la dirigenza, compresi i settori della difesa, della sicurezza e degli esteri. Parliamo di un monte retributivo di 28,5 miliardi di euro», spiegava ieri al Sole 24 Ore il sottosegretario alla Funzione pubblica. Angelo Rughetti, che spiega: «L’idea, per dare subito un segnale, è quella di introdurre misure di riduzione differenziate, inversamente proporzionali agli aumenti decisi negli anni, senza controlli».

A cominciare dalle nostre feluche. Ai diplomatici sono stati concessi aumenti del 37% degli stipendi, e per questo, anticipa il braccio operativo di Marianna Madia, «toccherebbe una percentuale di riduzione più elevata».

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