ROMA – “Il dilemma del candidato”, questo il titolo dell’editoriale del Corriere della Sera del 26 novembre a firma di Angelo Panebianco:
Matteo Renzi vincerà , con ogni probabilità , le primarie (aperte) dell’8 dicembre e diventerà così, ufficialmente, il leader del Partito democratico. Solo una bassa affluenza alle urne potrebbe ammaccarlo, offuscarne un po’ la vittoria. Renzi è anche il più probabile candidato premier del centrosinistra (Enrico Letta permettendo) alle prossime elezioni. E se il centrodestra rimarrà nel marasma in cui è, incapace di andare oltre Berlusconi, Renzi avrà ottime possibilità di uscirne vincitore e diventare capo del governo. Dunque, è giusto che su di lui, sulle sue parole e sulle sue azioni, si appuntino oggi le attenzioni di tutti.
Sulle sue capacità comunicative e sulla sua abilità tattica non c ’è bisogno di spendere parole: sono evidenti. Non sembrano, peraltro, molto giustificate (almeno per ora) certe critiche che taluni gli rivolgono. Lo accusano di fumosità, vaghezza, inconsistenza programmatica, solo nascoste da una capacità di affabulazione superiore alla media.
Ma in Italia la fumosità programmatica è il tratto dominante di tutti i discorsi politici. Perché gettare la croce sul solo Renzi? Si dice che stia mettendo a punto le linee guida di una proposta programmatica volta al rilancio della crescita economica e che potrebbe ottenere il favore degli industriali (…)
È difficile giudicare un politico soprattutto dalle sue promesse . Bisogna aspettare di vedere cosa succede quando egli passa dal dire al fare. Per ora, di concreto, Renzi ha fatto soprattutto due cose: si è esposto a favore delle dimissioni del ministro nel caso Cancellieri e ha preso una posizione netta contro le manovre volte a rimettere in vigore una legge elettorale proporzionale. Poiché un politico abile non fa nulla a caso, erano evidenti gli obiettivi che Renzi si proponeva nella vicenda Cancellieri: mettere in difficoltà il governo Letta, mandare un messaggio critico al presidente della Repubblica, e stipulare un’intesa con forze che, per mandare all’aria il governo, avevano puntato tutto sulle dimissioni del ministro. Quanto al contenuto, Renzi, per dare un po’ di concretezza alla sua azione politica, avrebbe forse dovuto cercare un altro terreno di gioco: non c’era stato nulla di penalmente rilevante nell’azione del ministro e, per giunta, la Cancellieri si era scusata in Parlamento per l’ingenuità e l’inopportunità di certe sue parole. L’accanimento era sospetto. Tanto più che Renzi, in questo modo — proprio lui che con quelle cose non c’entra — si è ritrovato a braccetto di pessime compagnie, con i più collaudati esperti di linciaggi e di giustizia sommaria. Per non sentirti imbarazzato a causa della fiducia che (…) mantieni per un sindaco a te vicino raggiunto da un avviso di garanzia, dovresti tenerti sempre alla larga da quelle pessime compagnie.
Nella vicenda Cancellieri colpiva soprattutto, di Renzi, l’assordante silenzio sul vero scandalo (a cui peraltro siamo assuefatti da tanti anni), segno, questo sì davvero, di decadenza morale: la divulgazione di intercettazioni come mezzo di lotta politica e processi mediatici.
È stato il silenzio di Renzi su questo aspetto a far pensare che egli abbia colto l’occasione del caso Cancellieri per cercare un’alleanza con gruppi interessati a che quest’andazzo non abbia mai fine. È facile, non costa niente, parlare della necessità di riformare la giustizia. È meno facile aggredire nodi che troppi interessi vogliono mantenere aggrovigliati (…)