Diritto all’oblio, se il politico inquisito pretende di essere dimenticato…

Diritto all'oblio, se il politico inquisito pretende di essere dimenticato...
Diritto all’oblio, se il politico inquisito pretende di essere dimenticato…

ROMA –  Diritto all’oblio? Sì, ma non sempre. Capita, per esempio, che Google dica no alla richiesta di essere deindicizzati, ovvero di scomparire dai motori di ricerca. Capita più spesso in Italia che nel resto del mondo. Spiega Andrea Iannuzzi sul blog Punto Nave che questo succede perché in Italia, a volte, si prova a “scomparire” quando non se ne ha diritto. Per esempio quando c’è un’inchiesta ancora in corso.

Scrive Iannuzzi:

Qualche tempo fa una fonte diretta e accreditata mi svelò un piccolo retroscena sulla cosiddetta “sentenza Costeja” cioè il pronunciamento della Corte Europea che introduce il cosiddetto “diritto a essere dimenticati” dai motori di ricerca e in particolare da Google (qualora ne sussistano i presupposti).

Il retroscena è l’anomalia italiana legata a questo tipo di contenziosi e al loro rigetto da parte di Google. Se infatti la media europea è di 4 ricorsi accolti su 10 domande (quindi poco meno della metà), per quanto riguarda l’Italia la percentuale di ricorsi accettati scende al 25% (cioè uno su quattro). Il motivo? La maggior parte delle domande di deindicizzazione – e quindi i tentativi di essere dimenticati dall’opinione pubblica – proviene da politici o personaggi pubblici coinvolti in inchieste giudiziare e vicende di malaffare, che sperano di sfruttare la sentenza europea per “cancellare” le notizie che li riguardano.

Uno di questi casi è arrivato ora sul tavolo del Garante della privacy, che nei giorni scorsi si è pronunciato al riguardo con un provvedimento articolato (me lo ha segnalato Silvio Falciatori).

A rivolgersi al Garante era stata una persona coinvolta in un’inchiesta giudiziaria che aveva chiesto a Google la deindicizzazione, senza successo. A quel punto l’interessato si è rivolto al Garante, che ne ha definitivamente bocciato le pretese, spiegando che la notizia in questione, linkata da Google, riguardava un’inchiesta ancora attuale e di interesse pubblico: pertanto, il diritto di cronaca deve considerarsi prevalente sul diritto all’oblio.

Un altro aspetto interessante del pronunciamento riguarda il cosiddetto “snippet”, cioè il sommario che l’algoritmo di Google fa comparire sotto al titolo principale del link nella pagina di ricerca (e intorno al quale si combattono le dispute fra Mountain View e gli editori europei, che sui propri snippet pretendono il copyright). In questo caso, il Garante ha riconosciuto che il riassunto poteva apparire fuorviante e non corrispondente ai fatti. Non c’è stato però bisogno di intervenire perché Google ha esaudito la richiesta del ricorrente, eliminando lo snippet dal link. Niente oblio quindi, ma solo un link asettico.

Dunque, se nella pagina di ricerca che vi riguarda su Google trovate un risultato a voi sgradito, non è detto che quel link debba essere automaticamente eliminato su vostra richiesta: Google farà le proprie valutazioni e deciderà di conseguenza. D’altra parte è sempre possibile, come ricorda il Garante, chiedere all’editore l’aggiornamento, la rettificazione e l’integrazione dei dati contenuti nell’articolo (ma in questo caso Google non c’entra più).

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