ROMA – “Una storia molto italiana – scrive Fabio Martini della Stampa – A quattro giorni dallo scrutinio, nessuno sa quali siano i dati finali ottenuti dai vari partiti alle elezioni Regionali, un deficit che ha determinato un balletto di numeri, ma soprattutto letture più o meno interessate su chi abbia vinto o perso. Ora La Stampa”è in grado di fornire – oltre ai dati finali – anche una lettura ragionata su vincitori e vinti. Con alcune sorprese. In particolare per il Pd e per le liste civiche progressiste, che hanno sostenuto i candidati alla Presidenza”.
L’articolo di Fabio Martini: Il paradosso dei dati ancora indisponibili è determinato da un incrocio di motivi. Il Viminale non ha un obbligo istituzionale a presentare un riepilogo nazionale; un Istituto specializzato come il Cattaneo ha prodotto analisi a caldo, col passare delle ore rivelatesi carenti nella valutazione delle liste civiche, mentre studi di singoli hanno finito per sovrastimare il dato, delle liste non di partito a sostegno dei candidati presidenti del Pd.
Nelle sette regioni nelle quali si è votato il Pd ha ottenuto 2 milioni e 134mila voti, pari al 24,9%, 550mila in meno rispetto alle Regionali del 2010 e 2 milioni e 100mila in meno rispetto alle Europee del 2104: nelle sette regioni allora la percentuale era stata del 41,5%, in linea col dato nazionale. E’ stato osservato da dirigenti del partito di Renzi e da uno studioso come Salvatore Vassallo (autore dello Statuto del Pd) che il dato del Partito democratico, così deficitario rispetto alle Europee, è fortemente influenzato dalla “concorrenza” di liste civiche e del Presidente, che hanno pescato tra elettori che nel passato e nel futuro si possono potenzialmente attribuire al Pd. E attribuendo all’”area elettorale del Pd” un risultato del 37%, si indica una percentuale, ma non i numeri assoluti che la giustifichino.
Premessa concettuale fondata quella sulle civiche “confinanti”, ma non tutte quelle le liste sono di area democratica. Non lo sono quelle vicine a Sel e all’Udc (in Puglia), non lo sono quelle vicine al Partito socialista, soprattutto non lo sono diverse liste che hanno appoggiato i candidati presidente. Da una ricerca ad hoc risulta che liste che genericamente fanno riferimento a candidati ed elettori “contigui” al Pd abbiano ottenuto un risultato complessivamente molto significativo (700mila voti, pari all’8,1%). Dunque, assommando il 24,9% del Pd a queste civiche si ottiene la percentuale del 33%. Ammesso (ma non universalmente concesso) che sia corretto un paragone tra elezioni diverse come Europee e Regionali, gli elettori che non hanno replicato il voto al Pd di un anno fa sono due milioni e 100 mila, ma se vi si sottraggono i 700mila delle civiche, il deficit diventa meno corposo ma pur sempre rilevante: un milione e 400mila di voti in meno e un calo del 7,5% in percentuale.
Il Movimento Cinque Stelle ha ottenuto il 15,5% (21,5% alle Europee); la Lega (includendo la Lista Zaia) il 14,4% (5,0%); Forza Italia l’11,2% (17,4%); Fratelli d’Italia il 3,9% (3,7%); l’Ncd il 3,8% (4,3%); Sel il 3,7% (3,9%). Per quanto riguarda il Cinque Stelle è significativo che i suoi candidati-Presidenti ottengano ovunque un numero di voti assoluti sempre superiori a quelli conseguiti dalla lista.