Luigi Gastrini,che disse di conoscere dove Emanuela Orlandi vive, in un manicomio inglese, e affermò di aver lavorato per il Sismi negli anni ‘80 con il nome di codice di agente Lupo, è stato condannato dal Tribunale di Bolzano e Fabrizio Peronaci, che a suo tempo gli diede credito, ha raccontato così sul Corriere della Sera la conclusione. Ha dato atto che Gastrini, a giudizio di un tribunale della Repubblica italiana, raccontava frottole. Però si è tenuto una o più porte aperte, mescolando rivelazioni di ieri (Gastrini, Banda della Magliana) e di oggi (Marco Fassoni Accetti): non si sa mai, quello di Emanuela Orlandi sembra essere un filone inesauribile. Rivelazioni, mezze verità o invenzioni? si è chiesto Peronaci ora, riferendo la sintesi del discorso di Luigi Gastrini allora:
«Ebbi un ruolo di supervisione nel rapimento, che fu effettuato dalla banda della Magliana. La ragazza salì in auto, la famosa Bmw, attirata da un finto prete. Poi, nel parcheggio di Villa Borghese, fu caricata nel bagagliaio di una Mini verde e portata in Inghilterra. Dove è tuttora. Rinchiusa in un manicomio”.
Scrive ora Peronaci.
“Il dubbio, aleggiato a lungo sul più inquietante dei gialli italiani (e vaticani), adesso è stato sciolto: il tribunale di Bolzano ha condannato Luigi Gastrini, 57 anni, bergamasco trapiantato in Brasile, venuto appositamente in Italia per dire la sua verità sul caso Orlandi, a otto mesi di reclusione per simulazione di reato. Secondo gli accertamenti disposti da Guido Rispoli, il capo della Procura altoatesina titolare delle indagini in quanto Gastrini parlò anche di un passaggio di Emanuela da quelle parti, l’uomo non sarebbe mai stato nel Sismi né avrebbe svolto servizio nei carabinieri. In un primo tempo «Lupo» era stato accusato anche di usurpazione di titolo, reato poi depenalizzato. La pista inglese, già rivelatasi inconsistente dopo le vane ricerche in due ospedali, cade dunque definitivamente? L’avvocato difensore, Mauro De Pascalis, ha annunciato appello. E lui, Gastrini, che nel frattempo è riparato in Tunisia, ieri sera al telefono prometteva battaglia. «Questa è una congiura! Mi presento per dire ciò che so e mi condannano… Sto scrivendo un memoriale, se vuoi farti un giro a Tunisi ne parliamo». Finale sibillino: «Questo è l’anno giusto per la verità». In effetti almeno un indizio sorprendente – sul quale è il fratello di Emanuela a testimoniare – esiste e merita un approfondimento: Gastrini nel 2011, incontrando Pietro Orlandi nei giardini di fronte alla stazione di Trento, parlò di un «finto prete» nell’auto in cui salì Emanuela il 22 giugno 1983 in corso Rinascimento. Come mai il dettaglio è importante? Intanto perché la famiglia ha sempre sostenuto che la ragazza mai si sarebbe allontanata se non, forse, fidandosi di un sacerdote. E poi in quanto sempre di un «finto prete», di recente, ha parlato il superteste Marco Accetti, che ha confessato di aver organizzato il sequestro per conto di un gruppo di ecclesiastici contrari alla linea anticomunista di Wojtyla. «Il prelevamento davanti al Senato – ha detto Accetti – avvenne con la partecipazione del signor De Pedis, che io fotografai. Nella Bmw c’era un nostro uomo in abiti talari, scelto in quanto somigliante a monsignor Liborio Andreatta, prelato della fazione avversa». Due tasselli del complicato mosaico – banda della Magliana e sacerdote – quindi s’incastrano. Il terzo elemento comune è l’autoaccusa. Ciò significa che di «Lupo», nonostante la condanna, si tornerà a parlare?”.