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Emilia, terremotata e costretta ad accogliere migranti

di Gianluca Pace |9 Settembre 2015 8:30

(foto Ansa)

ROMA – “Emilia terremotata e dimenticata costretta ad accogliere i migranti”: questo il titolo di un articolo di Giuseppe De Lorenzo per il Giornale. Articolo in cui De Lorenzo denuncia la decisione del Governo di inserire alcuni comuni terremotati nell’elenco dei territori che potranno ospitare alcuni migranti.

(…) “Solo quando tutte queste case saranno ricostruite – urla al microfono Stefano Cavedagna, leader della Giovane Italia – potremo pensare all’accoglienza. Non prima”. Il motivo scatenante la protesta è l’ipotesi che Mirandola, così come altri altri comuni emiliani, possa ritrovarsi costretta ad ospitare i profughi. Un decreto del governo esclude che questo possa accadere, eppure alcuni territori colpiti dal sisma già si sono fatti carico degli immigrati. “La Regione dice che le zone del terremoto sono escluse dalla collocazione degli immigrati- scrive su Facebook il consigliere azzurro Galeazzo Bignami – non sanno neanche che a Bomporto, Bastiglia, Cento, Vigarano sono stati già inviati dei clandestini che mangiano, bevono, dormono a spese nostre quando ci sono ancora italiani nei container. Pazzesco! Non sanno neanche dove sta questa gente!”.

Ecco perché Lorenzo Luppi, perito industriale mirandolese, è andato a firmare la petizione “prima gli emiliani, contro l’invasione”. Uno dei palazzi del centro, di proprietà della famiglia, infatti, porta ancora i segni del terremoto. Tre anni non sono bastati per poterlo ristrutturare. L’assenza di un documento catastale ne ha bloccato la pratica. Il giorno del sima, racconta Lorenzo, “mi sono visto cadere la torre della chiesa addosso. Si è alzata una polvere rosa: sembrava di essere in un film”. Da quel giorno, il cambio di casa, le difficoltà e la rabbia per una ricostruzione che tarda ad arrivare. “E’ come come se fossimo stati traditi dal papà. Come un padre che ti dà una pacca sulla spalla e ti dice ‘non è il tuo turno'”. Ora l’italia deve pensare agli immigrati.

L’Emilia Romagna ha già superato le 4700 presenze stabilite dalle quote governative. Calcolatrice alla mano, significano 60 milioni di euro l’anno di giro d’affari, soldi che avrebbero fatto più che comodo ai terremotati.

Tre anni fa erano 16mila le famiglie bisognose di assistenza, ancora oggi ne restano assistite a vario titolo 4.645, di cui 3.700 Cas (contributi all’autonoma sistemazione). Gli altri vivono nei container, grigi quartieri alle porte della città. Ognuno dei prefabbricati è costato la “modica” cifra di 120mila euro, il prezzo di una modesta abitazione. Forse sarebbe stato opportuno spenderli in un altro modo.

Angela – nome di fantasia di una terremotata che ci apre le porte della sua casa – non ne può più. “Voglio solo una casa – scandisce trattenendo le lacrime – agli extracomunitari garantiscono un tetto sotto cui dormire e tre pasti al giorno. E noi? Noi che non abbiamo nulla da mangiare?”. Il 54% dei container è ancora occupato. Ad abitarci, 1.288 persone.

L’altra faccia della rivolta contro l’accoglienza indiscriminta è quella dei commercianti. Chi aveva un’attività in centro è stato costretto ad abbandonarla. Alcuni di loro si sono organizzati, ottenendo un ex cantina sociale e condividendo le risorse per creare un nuovo polo commerciale. “Non è la stessa cosa – confida a ilGiornale.it Morena Negrelli -. Abbiamo dovuto spostare tutto, convincere la clientela a seguirci”. Ma non solo. Lo scherzo maggiore l’ha riservato lo Stato. Chi ha ricevuto i 15mila euro di sussidio messi a disposizione è stato costretto ad inserirli nella dichiarazione dei redditi. E così sono scomparsi: Equitalia si è ripresa il poco che il governo aveva stanziato

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