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“Enrico Letta, ipotesi che spariglia i giochi di Renzi”. Galluzzo sul Corriere

di Daniela Lauria |27 Giugno 2014 10:10

Enrico Letta e Matteo Renzi

BRUXELLES – Torna a farsi strada l’ipotesi Enrico Letta per la presidenza del Consiglio Europeo. Una mossa che però rischia di sparigliare i giochi di Matteo Renzi al tavolo dei 28. L’ex premier che a febbraio scorso ha lasciato il posto a Renzi, metterebbe d’accordo molte cancellerie (Londra, Copenaghen, Parigi..) ma inficerebbe la nomina di Federica Mogherini, attuale ministro degli Esteri di Renzi in lizza per il ruolo di Alto commissario della Ue per gli Affari esteri. Due poltrone italiane sono troppe e quella della Presidenza è troppo importante per essere rifiutata. Senza considerare poi il “fattore Draghi”, terzo nome italiano in posizione apicale.

Marco Galluzzo sul Corriere della Sera, spiega bene le trame che Renzi sta tessendo al Consiglio europeo di Ypres:

L’accordo sulle nomine non è meno ballerino: la Mogherini resta in pole per l’Italia, ma i giochi sono ancora tutti aperti e non si chiuderanno prima di oggi. Matteo Renzi arriva in Belgio, fa l’elogio della crescita e dell’occupazione, dice che il suo metodo si è imposto, «prima la strategia, l’agenda, poi i nomi, prima dove va la macchina, poi chi la guida», ma la situazione, a notte fonda, su entrambi i punti, flessibilità e nomine, appare ancora aperta.

Anche l’ipotesi di una candidatura di Enrico Letta, che sembra rilanciata più da Londra e Parigi che da Roma, per il posto di presidente del Consiglio europeo, complica e confonde le dinamiche: Renzi punta a mister Pesc, alla politica estera della Ue, Federica Mogherini è ufficialmente l’unico candidato italiano (in alternativa, dicono nel suo staff, c’è solo la guida dell’Eurogruppo), ma cosa succederebbe se oggi altre cancellerie dovessero sponsorizzare in modo concreto l’ex premier italiano?

In teoria Letta è ipotesi residuale, Mario Draghi alla Bce occupa un’altra posizione apicale europea, per molti si stratta di una cortina fumogena che incrocia interessi convergenti di Parigi e di Londra, ma è anche vero che il Pse reclama il ruolo di Van Rompuy e che non ha candidati altrettanto stimati e autorevoli di Letta. Ufficialmente, almeno ieri notte, non se ne discuteva. Ufficiosamente dallo staff governativo italiano trapela un silenzio imbarazzato: solo oggi nel pranzo del Consiglio europeo la questione verrà affrontata in modo aperto. Sembra che Napolitano abbia invitato Renzi, nell’ultimo colloquio, a considerare in un contesto europeo, e non solo italiano, l’ipotesi.

Renzi, mentre il vertice di Ypres si conclude, ha comunque modo di rivendicare una vittoria: nel documento di Van Rompuy, che oggi sarà sottoposto ai leader del Consiglio, c’è un elogio della flessibilità, il riposizionamento dei valori di crescita e occupazione accanto al rigore della disciplina di bilancio. Sono parole, richiami a regole che già esistono, magari finora non sfruttate, ma comunque è una tendenza che si impone. I socialisti europei, e con loro Renzi, possono rivendicare un successo.

“Le possibilità offerte dalle attuali regole per bilanciare la disciplina fiscale con la necessità di sostenere la crescita devono essere utilizzate”, si legge nella bozza del comunicato finale, al momento provvisoria, che dovrebbe chiudere oggi il Consiglio Ue. A Renzi, ieri notte, non bastava. Sigmar Gabriel, numero due del governo tedesco, svelava dettagli della trattativa in corso: “Se lo Stato italiano non può accedere a 15 miliardi di euro dei fondi europei perché non può apportare i finanziamenti equivalenti senza rischiare di superare i parametri del deficit, perché non versare tali somme e rinunciare all’obbligo di cofinanziamento?”. Se si trattasse di liberare il Paese dall’onere del co-finanziamento, i progetti sarebbero finanziati dalla sola Ue: si tratterebbe di una vera e propria rivoluzione. Ieri notte gli sherpa cercavano un compromesso.

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