Enzo Tortora, “Una ferita italiana”: il documentario di Ambrogio Crespi

Enzo Tortora, "Una ferita italiana": il documentario di Ambrogio Crespi
Enzo Tortora, “Una ferita italiana”: il documentario di Ambrogio Crespi

ROMA – Il Festival internazionale del cinema di Roma ha rifiutato di includere  il documenta­rio su Enzo Tortora “Una ferita itali­a­na” di Ambrogio Crespi. Un’occasione mancata la definisce il Giornale, “nessuna censura, a nostro parere, solo disattenzione e snobismo”. Ecco l’articolo di Alessandro Gnocchi:

Il docu­mentario, visto in anteprima, non ha pretese artistiche, non è Sacro Gra, vincitore della Mo­stra di Venezia, ma è inte­ressante, senza sbavatu­re, per niente strumen­tale, fon­dato su in­terviste di valore. Sono quasi sessan­ta minuti che producono indignazione, sconforto, commozione.

Cre­spi raggiunge appieno l’obietti­vo di qualsiasi prodotto di que­sto tipo: ricostruire, informare, consentire allo spettatore di for­marsi un’opinione. Insomma, perché escluderlo? Perché le in­quadrature sono troppo semplici? L’assenza di fronzoli è la giusta for­ma di rispetto per la storia drammatica di Enzo Tortora. Sareb­be stato fastidioso il contrario. Qual­cuno a Roma, lon­tano da registra­tori indiscreti, ha pure specu­lato sui guai giudiziari del regista, 200 giorni di carcerazione pre­ventiva alle spalle (per concor­so esterno in associazione ma­fiosa all’interno di un’inchiesta traballante). Si dimostra così la necessità di rievocare una volta di più il calvario al quale fu sotto­posto il conduttore di Portobel­lo .


Il 17 giugno 1983, Enzo Torto­ra è arrestato alle quattro di mat­tina all’Hotel Plaza di Roma. Il conduttore sarebbe un camorri­sta e uno spacciatore. Le accuse, mosse dalla Procura di Napoli, sono basate sulle dichiarazioni di pentiti come Giovanni Pandi­co, Giovanni Melluso e Pasqua­le-Barra cui si aggiungeranno al­tri “testimoni”, alcuni grotte­schi. Al centro c’è un’agendina trovata nell’abitazione di un cri­minale in cui sembra leggersi il nome «Tortora» accanto a un numero telefonico. Peccato ci sia scritto«Tortona»e che l’uten­za non sia riconducibile a Enzo. Il presentatore passa sette mesi in carcere e cinque mesi ai domi­ciliari in attesa di processo. Nel 1984 è eletto parlamentare euro­peo nel Partito radicale. Nel 1985 è condannato a dieci anni di reclusione. Si dimette dal Par­lamento europeo. Torna ai do­miciliari. Nel settembre 1986 la Corte d’Appello di Napoli smon­ta il processo precedente. Torto­ra non ha commesso il fatto.

Nel 1988, gravemente malato, dà mandato ai suoi legali di richie­dere il risarcimento dallo Stato. Come monito e come esempio: anche i magistrati devono paga­re i loro errori. È l’ultima batta­glia di Enzo Tortora, che muore il mese seguente, il 18 maggio 1988.
Questi sono i nudi fatti, che Crespi affida a scioccanti imma­gini di repertorio. Tortora appa­re con le manette ai polsi ed è esi­bitocome un trofeo di caccia a uso dei fotografi. I titoli dei gior­nali, tutti quanti colpevolisti. Gli avvocati della difesa, Alberto Dall’Ora e Raffaele Della Valle, certi in partenza di aver perso, parlano di «istruttoria inesisten­te » con voce spezzata. I pentiti sorridono nell’aula di tribunale. Uno di loro, alla lettura della sen­tenza di condanna, grida: «Ha vinto lo Stato! Ha vinto la giusti­zia! Hanno vinto i carabinieri!». Tortora malato e quasi soffoca­to dalla tosse riferisce alla stam­pa di essere stato indicato come consumatore abituale di cocai­na. Lascia il Parlamento euro­peo, nonostante il Parlamento sia contrario. Marco Pannella (un gigante) si pronuncia con­tro i giudici del primo grado. Del­la Valle ascolta in lacrime la lettu­ra della tardiva assoluzione.
Se non bastassero queste sce­ne, che lasciano il segno anche alla milionesima visione, Cre­spi ha raccolto una serie d’inter­viste bellissime. Francesca Sco­pelliti legge le lettere inviatele dal carcere dal conduttore. So­no testimonianze della statura morale di Tortora, spezzano il cuore soprattutto quando de­scrivono la (non) vita in cella. Tra gli altri parlano gli avvocati Raffaelle Della Valle e Mauro Mellini. Il giudice Corrado Car­nevale. I giornalisti Francobal­do Chiocci e Vitto­rio Feltri, che furo­no i primi cronisti acapire l’innocenza di Tortora. Mentre Vittorio Pezzuto, autore della biogra­fia di Tortora Ap­plausi e sputi ( Sper­ling & Kupfer), ri­corda la fortunata carriera delle to­ghe che distrusse­ro l’esistenza del presentatore. Tutti assieme tracciano un quadro delle storture della giu­stizia italiana da cui si capisce che poco è cambiato. I problemi sono gli stessi: la carcera­zione preventiva come «lebbra del processo penale» (Tortora), la conti­guità tra inquirenti e parte della stam­pa, la mancata responsabilità dei giudici, la condizione disu­mana delle carceri, lo scontro tra magistratura e politica. Su questo punto, Tortora disse di trovare indecoroso che un parla­ment­are potesse farsi scudo del­l’immunità per difendersi dai processi. Crespi mette in risalto questa posizione, fatto che im­pedisce di servirsi strumental­mente del film, rovesciandolo troppo sull’attualità di questi giorni, caso mai qualcuno si fos­se fatto strane idee.
Domani Enzo Tortora. 

Una fe­rita italiana sarà presentato alla Camera. In serata alcune scene saranno trasmesse su Canale 5 a
Matrix .
 Il film non è andato a Ro­ma? Il problema è tutto del Festi­val che tra l’altro non si è dimo­strato all’altezza del suo snobi­smo inaugurando con la solita commediola all’italiana. Alla faccia del Festival “Internazio­nale”… 

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