MILANO – “Non sono un’ingrata, ho sempre amato mio padre ed ho cercato di assecondarlo per avere il suo affetto”. Violetta Caprotti, figlia del patron di Esselunga Bernardo Caprotti, si racconta in un’intervista rilasciata ad Antonia Jacchia sul Corriere della Sera. La Caprotti, 51 anni e figlia del primo matrimonio di Bernardo con Giorgina Venosta, racconta i contrasti nati tra lei, il padre e il fratello Giuseppe che li ha portati in tribunale.
La Caprotti al Corriere della Sera dice:
“«Fino a oggi sono rimasta in un rigoroso silenzio per stile personale. Non penso di essere una figlia ingrata; anzi sono la figlia che gli è sempre stata più vicina; certo nel ‘99 mi sono sposata con un uomo americano ma ogni sera ci parlavamo al telefono e una volta tornata in Italia andavo a trovarlo di continuo in azienda per pranzare con lui in mensa, insieme con gli altri dirigenti, con alcuni dei quali sono rimasta sempre in contatto»”.
Alle accuse di “congiura” di Bernardo contro di lui, Carlo Salza e Germana Chiodi, la Caprotti replica di essere stata “allontanata dall’amore di mio padre” e di essere ingiustamente accusata di aver “tramato con la centralinista”
“«Le pare possibile? È forse disdicevole avere come migliore amica una centralinista? Una persona di buon senso che mi vuole bene da sempre in modo sincero e senza alcun interesse? Anche lei dopo 40 anni di lavoro in Esselunga, se ne è andata con grande amarezza e dispiacere. Sa che in azienda ormai non c’è più nessun Caprotti, mentre mi risulta che ci siano, anche in ruoli importanti, molti parenti della signora Chiodi. È vero, mio padre nel 2009 mi disse che l’azienda sarebbe stata manageriale. Ma, come in tante altre società di famiglia, si può essere proprietari senza aver incarichi di gestione diretta. E allora perché mio padre mi ha portato via le mie azioni, senza proferire parola? »”
Quando Bernardo Caprotti offrì alla figlia 84 immobili dall’ingente reddito lei rimase perplessa:
“«Mio padre mi chiedeva di restituirgli il 29% delle quote del gruppo donatemi nel ‘96 (così come a Giuseppe e a Marina Sylvia, ndr.) gestite attraverso l’Unione fiduciaria, in cambio di una partecipazione di maggioranza nell’immobiliare Villata. Io non capivo: le mie quote nel gruppo valevano molto di più e poi perché avrei dovuto rinunciare a Esselunga commerciale, dove sono cresciuta? E inoltre l’aspetto che ha pesato di più, non volevo lasciare mio fratello in minoranza, non potevo fare questo né a lui né ai miei nipoti. Già un’altra volta, nel 2004, mio padre mi suggerì di tenerlo lontano»”.
Violetta Caprotti precisa che lei non è una figlia ingrata:
“«Ha sempre considerato l’azienda una sua creatura esclusiva e con noi ha sempre fatto quello che voleva. Io figlia ingrata? Ha rivalutato l’azienda a mio nome, ha impegnato le mie azioni e poi me le ha portate via senza dire nulla. Quando l’ho scoperto, mesi dopo, ero sconvolta. Mi disse: “Violetta, l’amore non va con gli interessi”. Poteva farlo? Vedremo cosa diranno i giudici ma umanamente non è quello che ci si aspetta da un padre. Questa battaglia – e vorrei che non lo fosse – non è meramente una questione di soldi: le nostre, con tutto il rispetto per le persone di questo Paese che soffrono per condizioni economiche disagiate, sono famiglie molto benestanti da generazioni. Questa è una vicenda che ha a che fare con la dignità, la lealtà e ancor di più con l’affetto. È una battaglia per l’amore, quello rubato. Io non voglio mettere le mani sul suo patrimonio ma i figli sono tutti uguali, dovrebbero essere amati nello stesso modo, senza distinzioni. Esattamente come io ho sempre amato mio padre» .