ROMA – Fabio Fazio e la Rai si aspettavano di più. Nonostante la presenza di Beppe Grillo e la mancanza pressoché assoluta di controprogrammazione (a parte La7), gli ascolti registrano una perdita di 2,4% di share e 2 milioni di spettatori rispetto al 2013. Meglio dei Festival 2007-2010, peggio delle ultime tre edizioni.
Scrive Andrea Scanzi sul Fatto Quotidiano:
Non un flop, non un successo. Potrebbe significare, secondo un’interpretazione un po’ snob, che gli autori hanno alzato l’asticella della qualità a rischio deliberato di perdere parte del consenso popolare. Non esattamente. La ricetta di Fazio è nota: annacquare, ammorbidire, disinnescare. Lo fa a Che tempo che fa, apparecchiando una tavola garbata a uso e consumo di coloro che Edmondo Berselli chiamava perfidamente “professoresse democratiche”. E lo fa più ancora a Sanremo, dove può trincerarsi dietro l’alibi del nazionalpopolare. Parola che, come ama ripetere il conduttore, non è un’offesa.
La protesta – non si sa quanto spontanea – dei due aspiranti suicidi ha “rovinato” a Fazio il monologo iniziale sulla bellezza. Un danno per gli autori, un bene per chi poco ama la retorica. C’è comunque stato spazio, quasi che l’Ariston fosse un’eterna dependance del salotto buono di RaiTre, del sermone di Massimo Gramellini. Dedicato alla bellezza e inzuppato di quella visione eternamente jovanottiana secondo cui il mondo è tremendo eppure bellissimo: un presepe vivente, all’interno del quale ogni cosa è illuminata. Dal Vangelo secondo Gramellini (ieri su La Stampa): “La bellezza non è solo uno zigomo, un capitello, un tramonto. La bellezza è la creatività in qualsiasi forma si esprima” e “il disegno di un bambino è bello anche quando è brutto, perché nel farlo il bambino ha usato energia creatrice” (amen).
COSTRUITO su tali fondamenta buoniste e fieramente ecumeniche, il Festival di Sanremo ha rischiato una volta di più l’overdose da miele. Il picco di share ha coinciso con Luciana Littizzetto che imitava Raffaella Carrà davanti alla Carrà vera, e a vederle le meno entusiaste sembravano proprio loro. Uno dei momenti più bassi, per ascolti ed efficacia, è stato quello con Laetitia Casta: lento, inefficace, fuoriluogo. Male anche il Ligabue deandreiano. L’affetto di Fazio per il cantautore genovese, che martedì avrebbe compiuto 74 anni, è tanto conosciuto quanto vero. Il suo special del 2009 su RaiTre era splendido. E certo il cantautore emiliano voleva omaggiarlo con rispetto. Purtroppo la sua versione di Creuza de mà, nonostante la presenza di Mauro Pagani (che quella canzone e quel disco li ha scritti), è stata abbastanza tremebonda. Tutto male, dunque? No, e paradossalmente è proprio qui che risiede il problema. In ogni programma di Fabio Fazio si ha la sensazione che il diretto interessato insegua, non si sa se per inclinazione o quieto vivere (o entrambe), un perenne sei politico . Sembra quasi uno chef che, pur disponendo di ingredienti strepitosi, si accontenta di cuocere un uovo al tegamino (peraltro bruciacchiandolo). Martedì non sono mancati episodi di pregio.
La presenza di Pif, quantomeno vivace. E poi Cat Stevens, aka Yusuf Islam. Di colpo il Festival è salito di tono, dimostrando che fare di più e di meglio non è solo possibile ma nemmeno così difficile: basterebbe volerlo. Invece, se c’è Fazio, il freno a mano è sempre tirato. E giù di meringa, di rosolio, di volemosebenismo. Beppe Grillo ha tuonato contro gli stipendi enormi di Fazio, ma è un’arringa facile: di fronte a talenti conclamati, certe cifre sarebbero persino giustificate (…)
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