Fascismo e leggi razziali: due o tre “promemoria”

Benito Mussolini (LaPresse)

La decisione di lanciare la campagna antiebraica, Mussolini la prese da solo e a freddo. Nell’intento di trasformare gli italiani in un popolo guerriero e dominatore, di prepararli a quella guerra che il duce vedeva comunque vicina […] Ne discende, fra l’altro, che la guerra non era per il regime un’opzione come un’altra: era invece il logico coronamento di un progetto totalitario e imperiale connaturato al fascismo stesso e coerentemente perseguito al di là di oscillazioni e ritirate tattiche. Mussolini non era un clerico-conservatore come Franco e Salazar e non poteva accontentarsi del destino di media potenza che i rapporti di forza internazionali riservavano all’Italia. Non ha dunque senso chiedersi che cosa sarebbe accaduto “se non avesse fatto la guerra”, come recita un ritornello abusato quanto fuorviante. […]

Ora è appena il caso di ricordare che il fascismo si affermò nel primo dopoguerra attraverso l’uso sistematico della violenza squadristica; che conquistò il potere nel 1922 con una ben dosata miscela di forza e di inganno; che si sbarazzò sistematicamente dei suoi avversari politici, anche col ricorso all’omicidio; che, non appena fu in grado di farlo, abolì partiti ed elezioni e cancellò le pubbliche libertà; che inventò un modello di dittatura personale e di totalitarismo tendenziale poi imitato in tutta Europa, Germania compresa. Dunque, anche se non avesse portato l’Italia in guerra o non avesse varato le sciagurate leggi razziali, il regime mussoliniano dovrebbe essere condannato senza appello e senza attenuanti sulla base di minimi e decenti parametri di democrazia. Resta da capire perché, a fronte di simili evidenze, il canone di un fascismo in se non cattivo ma rovinato dalle cattive compagnie abbia incontrato tanta fortuna nel tempo.

Giovanni Sabbatucci, “La Storia è una, non si cambia”, Il Messaggero, 28 gennaio 2013

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