ROMA – Stefano Fassina insiste. Il piano lavoro di Matteo Renzi non gli va giù e sull’articolo 18 non cambia idea: “Non è quello a bloccare le assunzioni”. In un’intervista a Luisa Grion di Repubblica il viceministro per l’Economia ed esponente del Pd rilancia la sua idea: servono investimenti pubblici per rilanciare l’occupazione. E quanto al Pd serve un piano “giusto” e condiviso da tutti.
Il piano per il lavoro del Pd sarà un progetto «giusto e da tutti condivisibile». E dove alla fine «non si parlerà né dell’articolo 18, né del contratto unico». Stefano Fassina, viceministro dell’Economia, prova ad esorcizzare la questione che sta lacerando le anime del partito.Veramente ne ha parlato anche lei, in un’intervista all’Avvenire dove ha definito il piano di Renzi “inutile se non dannoso”…«Le mie idee sull’articolo 18 non sono cambiate. Sulla questione abbiano perso fin troppo tempo, non è quella norma a bloccare le assunzioni. Per capirlo basta guardarsi un po’ attorno: in Spagna, per esempio, l’articolo 18 non esiste. Non solo, l’indennizzo a favore del lavoratore previsto dalla legge nei casi di provata ingiustizia è stato addirittura dimezzato. Eppure in quel Paese la disoccupazione giovanile arriva al 50 per cento».Comunque sia, lei resterebbe contrario ad una revisione dell’articolo per i nuovi assunti?«Insisto su quanto già detto: ritengo deprimente rinverdire l’ossessione sull’articolo 18, perché é evidente che la ricetta neoliberista ha fallito. Oggi le aziende non assumono perché la produzione è ferma. Il lavoro non si crea cambiando le regole d’accesso, la crisi ci ha portato oltre: bisogna intervenire sul livello produttivo, sostenere la domanda aggregata, i consumi e gli investimenti. Il progetto della segreteria Pd parla di ampliamento degli ammortizzatori sociali rispetto all’Aspi, di sostegno al reddito, di legge sulla rappresentanza sindacale, di ridistribuzione dei tempi del lavoro. Temi sui quali l’intero partito è d’accordo, il resto sono solo chiacchiere. Parliamo invece di cose concrete, come dei contenuti della Legge di stabilità ».Non pensa che anche in quel caso si poteva fare di più?«Su quella legge si sono addensata aspettative troppo elevate. Larga parte della classe dirigente non ha piena consapevolezza di quanto siano stretti i margini di manovra di un qualsiasi governo europeo rispetto ai diktat imposti dall’Eurozona. Visti i vincoli esistenti abbiamo fatto il massimo: ci sono tre miliardi di tasse in meno per imprese e lavoro, 150 milioni di euro a favore del diritto allo studio contro i 17 della precedente manovra, la tutela per altri 23 mila esodati, un’importante norma per facilitare l’accesso al credito delle piccole imprese di cui si è sentito parlare pochissimo. Di più non si poteva fare: per innescare uno choc positivo bisogna cambiare completamente la politica economica europea. Perché sia chiaro: l’Eurozona è su una rotta che la porterà al Titanic. Il nostroobiettivo è arrivare alla presidenza del semestre europeo».Per fare cosa?«Per lavorare sul cambiamento di quelle regole in modo strutturale».E se l’obiettivo non sarà raggiunto?«Dovremo preparare un piano B, se non vogliamo restare travolti dal populismo, dovremo dare una risposta alle emergenze economiche e sociali».
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