Il Fatto Quotidiano: “Quando in cella finì il marito di Anna Maria Cancellieri”

Il Fatto Quotidiano: "Quando in cella finì il marito di Anna Maria Cancellieri"
Il Fatto Quotidiano: “Quando in cella finì il marito di Anna Maria Cancellieri”

ROMA –  Era un giorno dell’autunno del 1981 quando Sebastiano Peluso, marito di Anna Maria Cancellieri dal 1966, oggi in pensione, allora farmacista con una avviata attività a Milano “finì in carcere  per lo scandalo delle fustelle false”.

Il Fatto Quotidiano riporta le cronache di allora: “la truffa funzionava così: i medici compiacenti emettevano le ricette e i farmacisti applicavano le “fustelle” false. I talloncini, che teoricamente dovevano essere staccati dalle confezioni dei farmaci, erano invece fabbricati ad hoc da grossisti del falso e poi presentati all’incasso”.

Il processo penale si concluse nei vari gradi con una progressiva riduzione delle pene, per tutti gli imputati e per Peluso in particolare. “Alla fine in Cassazione fu condannato per un reato ridicolo, mi sembra fosse l’incauto acquisto”, ricorda un farmacista coimputato che è stato difeso dagli stessi legali dello studio Astolfi. Né lo studio né il ministro Cancellieri (contattata tramite il suo portavoce) hanno voluto fornire dettagli.

Scrive Marco Lillo:

 Peluso e i suoi colleghi sono riusciti a evitare la decadenza dalla licenza di farmacista grazie a una sentenza del Consiglio di Stato del 2006 che ha ribaltato la sentenza di primo grado del Tar della Lombardia. I farmacisti erano difesi dal professor Carlo Malinconico (poi ministro tecnico con Monti assieme alla Cancellieri, finito nei guai per le vacanze all’hotel Pellicano, pagate da Piscicelli e per l’inchiesta sul Sistri a Napoli) che riuscì a ottenere l’annullamento di un decreto del presidente della giunta lombarda del 1992 che aveva disposto la “decadenza sanzionatoria” dalla titolarità della farmacia. Secondo il decreto del presidente della Lombardia “tutti (i farmacisti, ndr) hanno acquistato medicinali a più riprese, a prezzi inferiori a quelli praticati dai produttori, con “fustelle segnaprezzo” false, con “reiterate irregolarità nella conduzione dell’esercizio”. Secondo il Consiglio di Stato però quel provvedimento era basato su una “formula generica” che non distingueva le responabilità dei singoli farmacisti. Quindi non c’era alcuna ragione per disporre la decadenza della licenza per Peluso come per gli altri.

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