“Uomini che pagano le donne”. Prostitute e prostituzione, dossier del Fatto

"Uomini che pagano le donne"
“Uomini che pagano le donne”

ROMA – “Uomini che pagano le donne”, Il Fatto Quotidiano (edizione lunedì) raccoglie (e apre in prima pagina) le confessioni segrete di prostitute ed escort. Due punti di vista diversi, dagli occhi dei clienti e delle prostitute (“voi italiani che fate sesso con il crocifisso in auto”). A pagina 4 anche un diario con consigli: “Fai felice tuo marito sennò vieni da me”.

A pagina 2 il mondo della prostituzione dalla parte del cliente (“Con le escort è tutto più facile”). Articolo a firma di Elisabetta Ambrosi:

“Che ti devo dire … oggi potresti andare a letto con chiunque, ma queste donne ti saltano addosso, oppure c’è sempre un imprevisto, rompono il cazzo. Con una escort, invece, è tutto previsto, rassicurante”. Antonio ha 32 anni, e nelle sue parole c’è il mondo che non ti aspetti: più che trasgressione, voglia di tenere lo scontro fuori dal sesso. L’escort diventa quella che non va subito al dunque, ascolta, rilassa. Soprattutto, ci mette passione proprio perché lo fa per lavoro, magari per finta ma non importa, “tu ci vuoi pure credere come quando vedi un film che ti piace”. Visto dagli occhi dei clienti, quello della prostituzione è un universo lontano da quello raccontato dalle dichiarazioni istituzionali, spesso ignare, più volte ipocrite. Non solo perché a puttane – e soprattutto, sempre di più, a escort, reclutate in rete – ci vanno in tantissimi (l’ 8, 7 per cento degli uomini, secondo gli ultimi dati disponibili del Censis, circa 2, 5 milioni), ma perché l’andarci accomuna operai e politici, analfabeti e professori, single e sposati. Il cliente tipo non esiste « I più ricchi, da destra a sinistra, fanno feste come quelle di Berlusconi, le affittano per gli ospiti », racconta Matteo De Simone, psicoanalista ordinario AIPsi, che ne ha intervistati a decine per il documentario, girato della figlia Sara De Simone, Il regalo più grande: mio padre incontra una escort. “Le escort guadagnano anche 30. 000 euro, ma intorno c’è un indotto impensabile: proprietari di case, parrucchieri, fotografi”..”

A pagina 3 punto di vista ribaltato (“Voi uomini che fate sesso con il crocifisso in macchina…”). Articolo di Ferruccio Sansa:

“La prima cosa che ho conosciuto degli italiani è l’odore. All’inizio mi faceva vomitare. Appena si aprivano i pantaloni, la camicia, mi entrava nel naso. Lo odiavo. Avrei voluto morire. Mi coprivo la faccia di profumo per non sentirlo. Poi ci si abitua a tutto”. Alina ha vent’anni, almeno così dice. L’ha ripetuto tante volte, ai clienti, ai poliziotti, ai curiosi, che ormai ci crede anche lei. A guardarla negli short strizzatissimi, nella maglietta nera fatta apposta per far vedere e non per coprire, diresti che è poco più che una bambina. Ti fa male pensare cosa proverebbe sua madre, se la vedesse così. Ma in questo paesaggio deserto ti pare uscita fuori dal nulla. Senza un passato. Senza una vita. “Vengo dall’Albania”, e ti snocciola una storia come ne hai sentite mille, la partenza piena di promesse, gli sfruttatori, le violenze. Non importa che sia vero. Parla a macchinetta come se dovesse sbrigare una formalità prima… prima dell’unico motivo per cui tutti le si avvicinano. “Fare l’amore”, spiega, e sorride perché quella parola, “amore”, sembra assurda perfino a lei..”

A pagina 4 il ‘diario’ di Caterina Bonvicini:

“Quando sono arrivata a Roma, per alcuni mesi ho abitato in via Urbana. Il rione Monti negli ultimi anni è diventato un quartiere elegante, pieno di locali trendy e negozi carini, molto richiesto dagli stranieri che hanno fatto lievitare i prezzi. Ma non ha mai perso del tutto la sua aria popolare e la Suburra è rimasta la Suburra. Cioè un bordello a cielo aperto, dai tempi degli antichi romani a oggi. Ci sono ancora delle vecchie sedute per strada, davanti a un portone scrostato, che affittano camere un po ’ luride alle puttane. Quando mi sono trasferita a Roma, ho cominciato a frequentare il giro. Nel senso che scendevo tutte le sere, a portare fuori il cane. Si passeggiava sul marciapiedi con loro, insomma. Ce n’era una, in particolare, che aspettava i clienti davanti al mio portone. Spesso si avvicinava per accarezzare Shaddy, perché in Romania aveva un cane anche lei, e ne sentiva nostalgia. Una sera mi ha portato la foto. Era una specie di volpino e stava seduto su un cuscino a stelle e strisce, come la bandiera americana. Piano piano, abbiamo fatto amicizia. All’inizio mi diceva solo: « Ciao, bella mia », e si piegava per fare una grattatina a Shaddy sul sedere, vicino alla coda. Poi ha cominciato ad accompagnarmi a fare il giro dell’isolato. Ogni tanto i clienti si confondevano e chiedevano a me (anche se avevo al guinzaglio un fox terrier). Allora alzavo le spalle e indicavo lei con il pollice.”

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