Federica Mogherini lady Pesc? Il retroscena delle difficoltà di Renzi in Europa

ROMA – Federica Mogherini lady Pesc, ovvero alto rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza Comune: c’è molta enfasi sui giornali italiani a proposito della battaglia di Matteo Renzi per imporre il nome dell’attuale ministro degli Esteri italiano ai partner Europei.

Contro la Mogherini si sono schierati i Paesi dell’Est, in particolare i baltici, perché sarebbe giudicata troppo filorussa. Angela Merkel, che a Renzi ha dichiarato che la Mogherini va bene, ha lasciato intendere però che non è disposta a sacrificare poltrone più importanti, come presidenza del Consiglio Europeo e presidenza dell’Eurogruppo, per accontentare a tutti i costi l’italiano.

Alberto d’Argenio, nel suo articolo su Repubblica “Faccia a faccia tra il premier e la Merkel «Dimmi se accetti la mia candidata»”, lascia intendere che la partita vera non si gioca sul ministro degli esteri europeo. I Paesi dell’Est infatti vorrebbero in realtà il polacco Donald Tusk come successore di Herman Van Rompuy alla presidenza del Consiglio europeo. Mentre i socialisti europei spingono per la danese Helle Thorning-Schimdt.

Renzi, al suo primo vero braccio di ferro sulle nomine in Europa, è stretto in una tenaglia: se passa la Mogherini, l’Italia avrà ottenuto una carica più di prestigio che di effettivo potere. Se non passa, è la dimostrazione che non riusciamo a imporci neanche nelle battaglie meno importanti.

“PREPARA con lo staff la strategia da sfoderare alla cena dei Capi di Stato e di governo dell’Unione sulle nomine europee. Il premier decide di saltare il prevertice dei leader socialisti, «me la gioco con la Merkel e Hollande», è la decisione. Sin dall’inizio del negoziato Renzi ha puntato tutte le fiches sul rapporto con Parigi e Berlino e sulla nomina di Federica Mogherini ad Alto rappresentante dell’Unione. Ma un blocco di paesi dell’Est stoppa la sua candidatura rimproverandole la scarsa esperienza e accusandola di non essere abbastanza dura con Putin. E Renzi rischia di tornare a Roma a mani vuote.

Quando nel tardo pomeriggio il presidente del Consiglio atterra all’aeroporto di Zaventem e accende lo smartphone, sulle agenzie trova una notizia che lo fa sobbalzare: fonti del Partito popolare europeo indicano che Van Rompuy starebbe sondando i leader sulla possibilità di nominare Enrico Letta come suo successore alla guida del Consiglio europeo. Va su tutte le furie, da giorni sostiene che nessuno gli può imporre il nome del candidato italiano in Europa, tantomeno quello di un uomo percepito come potenziale rivale. Parte un vorticoso giro di telefonate. Poco dopo esce una smentita del portavoce di Van Rompuy. Il team di Palazzo Chigi ricostruisce così la vicenda: «È stato Tajani che dopo il vertice del Ppe ha messo in giro questa voce, roba da provinciali».

Renzi entra nel palazzone del Consiglio europeo di Bruxelles e subito si vede a quattr’occhi con la Merkel, Van Rompuy e Hollande. Ai suoi confermerà: «Nessuno mi ha parlato di Letta, nessuno lo propone». Eppure diverse delegazioni nei capannelli al settimo piano del Justus Lipsius si chiedono perché il premier italiano non spinga il suo predecessore: «È un nome intorno al quale ci sarebbe il consenso di tutti», spiegano diversi premier ai propri sherpa.

Renzi non la vede così, a chi lo chiama da Roma per avere informazioni ricorda che «chi conosce un poco il galateo europeo sa che il presidente del Consiglio Ue è incompatibile con la presidenza della Bce». E sacrificare Draghi per l’Italia è impensabile. Il premier inquadra così il problema: «La discussione vera è a chi tocca l’Alto rappresentante, ai socialisti o no?».
Con la Merkel il confronto è diretto, le chiede a bruciapelo se accetta la Mogherini e la Cancelliera è schietta: «Matteo, noi siamo d’accordo sulla Mogherini però vogliamo chiudere l’intero pacchetto». Questo il problema, dopo la nomina di Juncker alla Commissione europea bisogna trovare un accordo tra Nord e Sud, tra Est e Ovest, tra socialisti, popolari e liberali su presidente del Consiglio, ministro degli Esteri e chairman dell’Eurogruppo. Ma dopo la bocciatura di D’Alema a Renzi resta solo la carta la Mogherini. Almeno così sembra, anche se il lìder Massimo dà un’altra interpretazione alla strategia di Renzi e in serata gli manda un sms che il premier mostra ai suoi: «Vedo che mi usi come uomo nero, o meglio come uomo rosso, per far passare la tua amica Mogherini. E questo non è bello».

La partita è complicata, per Renzi e per tutti gli altri. Un leader scandinavo prende da parte un alto diplomatico italiano e gli dice: «La Mogherini può passare ma solo se c’è un presidente del Consiglio europeo con una solida esperienza nei rapporti con la Russia». La Merkel spinge il popolare polacco Donald Tusk, ma i socialisti puntano sulla biondissima danese Thorning-Schmidt. La delegazione polacca la vede così: «La Mogherini non ci piace, ma quella contro di lei non è la nostra battaglia, lasciamo che la conducano i baltici. Noi vogliamo Tusk al Consiglio». Che oltre dalla Thorning-Schmidt è insidiato dagli ex premier di Estonia e Lituania, i liberali Ansip e Dombrowskis, e dalla lettone Grybauskaite. Tanto che a Palazzo Chigi ipotizzano che il “no” alla Mogherini sia figlio di una battaglia tutta tra le Cancellerie dell’Est per avere il successore di Van Rompuy.

La Merkel preme per avere un pacchetto complessivo di nomine, rifiutando l’ipotesi della vigilia di nominare l’Alto rappresentante, posto al quale aspira anche la bulgara Georgieva, popolare che rispetto alla Mogherini ha il vantaggio di essere già conosciuta a Bruxelles in quanto attuale commissario Ue alla Cooperazione. Ma Renzi alla cena dei leader difende la sua candidata: «L’accusa di essere filorussi non regge». Il ragionamento gira intorno al fatto che lui da quando è premier non ha mai incontrato Putin, mentre Obama lo ha visto un volta e la Merkel e Hollande due. Ricorda le dichiarazioni del G7 in cui l’Italia si è sempre riconosciuta. «E poi quando mi dicono che la Mogherini è inesperta gli dico di chiedere cosa ne pensa Kerry». Sul fronte interno nelle telefonate con gli interlocutori italiani che avanzano dubbi sull’opportunità di puntare agli Esteri, carica di prestigio ma che rischia di non incidere sulle scelte economiche della Commissione, risponde così: «Non è vero, Mr Pesc può intervenire sull’operato di ogni commissario perché sarà il vicepresidente di Juncker».

Tiene il punto, ma se a poche ore dal vertice faceva sapere agli altri leader che era pronto a sfidare il fronte anti-Mogherini chiedendo la conta, a Bruxelles capisce che la pistola del voto potrebbe essere scarica. Van Rompuy al Ppe dice che «la Mogherini non ha una potenziale maggioranza qualficata per passare». Significa che oltre ai piccoli dell’Est anche un grande Paese dell’Ovest è contro l’italiana. E la Merkel apre alla possibilità di un rinvio. Brutto segnale, difficilmente la Mogherini reggerebbe per un mese alle critiche. Per ora Renzi non contempla un piano B. «Se ci bocciano Federica, ci dovrebbero dare l’Economia, ma a noi non conviene perché se va a un francese, come da accordi, ci darà una bella mano sulla flessibilità sui conti pubblici». Il vertice inizia. Parla Juncker. «Discorso ottimo», dice al suo staff il premier italiano. E subito parte la rumba delle trattative. Che dopo qualche ora, nella notte, deraglia. Rinvio al 30 agosto. E uscendo Renzi afferma: «Ho letto di Letta e Monti, noi siamo aperti a qualsiasi soluzione, ma se quel nome non c’è… ». Frase che dimostra quanto lo scontro è stato duro”.

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