Stop al finanziamento pubblico dei partiti: la demagogia ha vinto e i giornali,come sempre, fanno da cassa di risonanza acritica.
Solo il Manifesto vede il grande rischio, ma il Fatto Quotidiano ci tranquillizza.
Il Manifesto scrive:
“Riduzione del finanziamento pubblico ai partiti del 40% e azzeramento completo entro tre anni. È la scelta del Consiglio dei ministri che consegna alle lobby il potere d’acquisto della politica. Vince il modello 5Stelle, ma Beppe Grillo strilla alla legge truffa”.
Replica il Fatto Quotidiano:
“Tutti i trucchi della legge. Il Governo vara il ddl che dovebbe abolire i “rimborsi” elettorali (fra tre anni). Ma i soldi usciti dalla porta rientrano dalla finestra: sconti fiscali ai donatori, sedi e spot tv gratis, 2 per mille delle imposte fino a 61 milioni all’anno”.
Hanno ragione tutt’e due.
Enrico Letta ha voluto inseguire la bassa demagogia di alcuni giornalisti strapagati (quando saranno moralizzati i moralisti?) da grandi giornali che qualche milione di euro di finanziamento pubblico lo prendono anche loro, cavalcata poi da Beppe Grillo che dell’odio sociale si è rivelato il grande utilizzatore finale che ha scavalcato destra e sinistra estreme.
Non è un bell’esempio di grande leadership e di grande politica andare dietro alla pancia delle masse invece di affrontare in modo costruttivo il problema dei soldi pubblici ai partiti. Forse era meglio guardare cosa non ha funzionato nella applicazione del finanziamento pubblico, il meccanismo di spartizione cieca che ha portato alla festa dei maiali.
E forse sarà meglio che questo Governo abbia il coraggio che è mancato a Mario Monti e ai suoi boy scout di imporre ai partiti il controllo della Corte dei Conti sul finanziamento pubblico: i soldi sono nostri e ce li gestiamo noi.
L’idea di partenza del finanziamento pubblico ai partiti è giusta ed è di sinistra. È più facile che i grandi soldi finanzino un partito di destra che uno di sinistra, in tutto il mondo. Meglio ricordare il povero Bill Clinton che per alzare un po’ di soldi li ha presi anche da loschi individui, da ambigui cinesi, da chi pagava per dormire nel letto di Lincoln. E anche il povero Tony Blair, che per sganciarsi dal legame finanziario con i sindacati troppo a sinistra fu costretto a vendere titoli da lord a un milione l’uno.
L’ex Pci, anticipando la fine dei soldi da Mosca e ponendo le basi della sua indipendenza, aveva costruito un modello più intelligente, anzi geniale, quello di capovolgere il rapporto finanziatore finanziato, con le coop subordinate al partito, all’opposto del modello inglese.
Quel modello ha costituito la base della sopravvivenza del Pci e delle sue mutazioni Pds, Ds, Pd fino a oggi. Se il Pd si ridurrà alle dimensioni che avevano i partiti comunisti francese e inglese prima di sparire, non sarà per inedia ma per chiusura mentale.
Ma la lotta politica non riconosce un tetto alla spesa. Basta leggere con attenzione i giornali americani, dove c’è maggiore trasparenza e onestà mentale sul tema, per capire che ci vorranno sempre più soldi. Non solo e non tanto per il personale, quanto per le ricerche di opinione e le spese di propaganda, in particolare la Tv. Nell’altra grande recessione perfetta all’epoca del duo Ciampi Amato, ebbero l’idea di moralizzare la vita politica bloccando le spese individuali dei candidati, cui proibirono ogni pubblicità sui giornali. Diedero un danno di vari miliardi alla stampa, resero più forte Berlusconi, ma come si vede ebbero lo stesso effetto placebo di mani pulite.
Ora la piazza urla e vuole qualche testa, una è il finanziamento pubblico.
La sua abolizione spalanca le porte alle lobby: il Manifesto ha ragione da vendere. Ma ha anche ragione il Fatto, ed è meglio così, anche sotto il profilo estetico: invece di trasferire cassa ai partiti, lo Stato fornirà servizi.
Possiamo già scommettere che ci saranno nuovi scandali, perché ci sarà, inevitabilmente, qualcuno che ne farà un uso scorretto.
Quindi non esaltiamoci nemmeno di quello. Invece di piangere sulla evidente presa in giro che fa tanto soffrire Beppe Grillo, qualcuno farebbe bene a pensare agli strumenti di controllo. Come appunto la Corte dei Conti.
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