Finocchiaro e Franceschini se ne fanno una ragione. Fino a un certo punto….

Anna Finocchiaro: il partito ha sempre ragione

Il belato di Anna Finocchiaro e Dario Franceschini, trombati sulla via del Palazzo: “Non siamo rottamati”, è una “scelta autonoma, dimostriamo coraggio”. Franceschini: “Deciso assieme”.

Il messaggio, coraggioso, dignitoso ma flebile flebile, è affidato a Monica Guerzoni del Corriere della Sera. Anna Finocchiaro dice:

“Non mi sento rottamata, no. E scriva pure che alla mia eventuale rottamazione provvederò in proprio».

Osserva Monica Guerzoni:

“Il tono della voce è più brusco del solito, ma a sera Anna Finocchiaro sembra aver fatto pace con la storia delle ultime ore”.

Le parole di Anna Finocchiaro sono oneste, chiunque nella sua condizione e in buona fede direbbe lo stesso:

“Che farò adesso? Potrei ricandidarmi alla presidenza del gruppo, ma non ne ho alcuna intenzione. Ho fatto la presidente per sette anni e sono stremata. Non si è buoni per tutti i ruoli per sempre, ora c’è un gruppo rinnovato ed è giusto che ci sia un nuovo presidente”.

Chissà se Pierluigi Bersani, che finora ha riempito il parlamento di suoi fedeli funzionari e alla Camera ha scelto una di Sel, Laura Boldrini, avrà il coraggio di promuovere un non comunista.

Intanto la Finocchiaro, nel solco dei grandi martiri staliniani, fa l’inchino al gruppo dirigente del Pd,

“che ha preso una decisione coraggiosa e generosa”.

Guerzoni è un po’ crudele e mette sale sulla ferita, osservando che quel fantastico “gruppo dirigente” che l’ha affossata

“ha capito tardi gli umori della gente”

e questo giustifica la reazione stizzita, da vera gran dama, di Anna Finocchiaro

“Si può sapere cosa volete? Noi lo abbiamo capito, punto. Se facciamo una cosa buona lo abbiamo capito tardi, se la facciamo cattiva siamo sempre gli stessi…”.

La giornalista insiste: Qualcuno la dava in corsa per il Quirinale… e la reazione è da padroncina irritata, anche se non le si può dare tutto il torto:

“La pregherei di risparmiarmi e, per favore, lo scriva così come gliel’ho detto”.

Fa tenerezza Dario Franceschini, sacrifica da Bersani sull’altare del dogma del rinnovamento alla undicesima ora, uno che, ricorda Monica Guerzoni,

“non ha mai fatto il ministro, è entrato in Parlamento nel 2001 ed è stato segretario «per servizio». Franceschini l’ha presa con eleganza, il suo passo indietro durante l’assemblea di coalizione è stato accolto da una standing ovation e, a caldo, Franceschini si dice «sollevato da un peso». Non è stato «un atto di eroismo» il suo e non c’è nulla, assicura, di cui debba «pentirsi». Una cosa però gli ha fatto dispiacere: «Alcuni, nel Pd, hanno dato l’impressione che io pretendessi quella carica. Invece io e Bersani, l’altra notte, ci abbiamo messo un minuto a prendere la decisione di candidare la Boldrini al mio posto, anche per sfidare i grillini». […] Bersani gli ha offerto la presidenza del gruppo, ma Franceschini ha detto no”.

Un fondo di amarezza e delusione  rimane in questo bravo ragazzo un po’ cresciuto e forse inadeguato al gran salto, come dimostrò quando era segretario:

“Che farò? C’è il resto della vita… Non posso nemmeno dire che continuerò a lavorare con spirito di servizio, perché la politica è così degradata che suonerebbe ipocrita”.

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