MILANO – Innocente oppure colpevole e condannato a 30 anni. Per Alberto Stasi mercoledì 17 dicembre è una giornata decisiva: i giudici della Corte d’appello di Milano decideranno se condannarlo o assolverlo per l’omicidio della fidanzata Chiara Poggi. Processo bis visto che la Corte di Cassazione ha ordinato un nuovo giudizio per le lacune dei primi due.
Lacune che il procuratore Laura Barbaini ha cercato di colmare con nuove indagini: per Stasi l’accusa chiede una condanna a 30 anni. Ecco i punti salienti del processo sintetizzati da Paolo Berizzi per Repubblica:
LE TRACCE DI SANGUE Omicidio volontario aggravato dalla crudeltà. Per la pubblica accusa la mattina del 13 agosto Alberto Stasi uccide Chiara; poi sale in macchina, va dai carabinieri a dare l’allarme (anticipato con una telefonata) sostenendo — in modo mendace, secondo i magistrati — di avere trovato il cadavere della fidanzata riverso lungo le scale che conducono al piano semi-interrato. Il salone, il corridoio, le scale della villetta sono un lago di sangue: ma le scarpe di Alberto risultano intonse. Nemmeno una traccia sulle suole. Una nuova e più approfondita perizia sulla camminata dell’imputato (estesa ai primi due gradini della scala) ha dimostrato che era impossibile attraversare la casa — come lui sostiene — senza pestare il sangue. Di più. Stando alle analisi ordinate dalla Procura, è da escludere che il sangue, una volta pestato, si sia disperso. Un esperimento scientifico effettuato sui tappetini della Golf di Stasi — l’auto con cui raggiunge la caserma — certifica che qualche traccia doveva restare. No, sostiene la difesa. Che ribatte così: essendo il sangue essicato e le scarpe consegnate ai carabinieri la mattina dopo il delitto, le suole si sono ripulite e le tracce ematiche disperse. Possibile? «Alberto — spiegano i legali — ha cercato di evitare di calpestare il sangue, e poi ha camminato sull’erba e sul vialetto della villetta».
I BUCHI NELLE INDAGINI Torniamo a quei giorni del 2007. Il 27 settembre, un mese dopo il delitto, Stasi viene arrestato: dopo quattro giorni il gip lo scarcera per insufficienza di prove. Mancano l’arma del delitto, il movente, i gravi indizi; e l’alibi fornito («dalle 9.36 alle 12.20 ero al computer a lavorare sulla tesi di laurea») sta in piedi. In sostanza sono gli stessi motivi per cui l’ex fidanzato di Chiara, rinviato a giudizio nel 2008, viene assolto due volte: in primo grado nel 2009, in appello nel 2011. Il quadro cambia ad aprile 2013: la Suprema Corte annulla tutto e rimanda Stasi alla sbarra. Perché? Per gli ermellini della Cassazione l’inchiesta è piena di buchi: troppi gli indizi trascurati nei primi processi. Quei buchi il pg Barbaini li ripercorre uno a uno. Colmandoli con nuovi riscontri. Vediamoli. Oltre alla rivisitazione della camminata e del sangue sulle scarpe (una delle intuizioni — anticipata da Quarto Grado — è aver “catturato” il numero di scarpa con suola a pallini indossata dall’assassino: 42, lo stesso di Stasi), emergono altri elementi.
LE BICI E I PEDALI SOSTITUITI Le biciclette sono al centro dell’indagine. Non più e soltanto quella nera da donna che una testimone dice di avere visto appoggiata al muretto della villetta la mattina del delitto (incredibilmente sequestrata sette anni dopo per una svista dell’ex maresciallo Francesco Marchetto, a processo per falsa testimonianza). Si scopre che Alberto aveva la disponibilità di altre bici: in particolare una nera, sempre da donna, rinvenuta nella casa al mare di Spotorno. E poi quella bordeaux, i cui pedali sono stati sostituiti. Su quei pedali furono trovate tracce di Dna di Chiara. Ancora Tracce. Sul pigiama rosa della vittima — è agli atti — c’erano quattro ditate intrise di sangue impresse all’altezza della spalla sinistra. La firma del killer. Che solleva il corpo di Chiara e lo getta giù dalle scale. La foto delle ditate è stata mostrata a processo. Peccato che fossero scomparse dall’inchiesta. Per un errore madornale. Scattata la foto, la svestizione e la rimozione del cadavere hanno fatto si che il pigiama si sia intriso di sangue: addio ditate (forse avrebbero parlato). Resta l’immagine, però. Una carta che ha permesso di irrobustire un altro indizio ritenuto «non grave» dai primi giudici: l’impronta dell’anulare destro di Stasi depositata sul dispenser del sapone liquido. «Poteva averla lasciata in qualsiasi momento», ha sempre sostenuto la difesa. L’accusa è sicura: l’assassino si è imbrattato le mani e quindi è andato in bagno a lavarsi (ci sono due impronte «statiche » insanguinate sul tappetino). Possibile che, qualora anche il killer abbia sciacquato il dispenser, la traccia di Stasi, deposta in precedenza, sia sfuggita al lavaggio? Tutte domande senza risposta. Almeno fino a domani.