ROMA – Germania. Euro e parametri Maastricht elusi: “Così ha beffato l’Europa”. Sarà poi vero e pacifico che la corsa della locomotiva tedesca, il suo eccezionale surplus finanziario, sono dipesi dalle riforme del mercato del lavoro, dal suo essere formica e non cicala? O piuttosto non si dovrebbero prendere in considerazione presupposti economici diversi, sfuggiti alla vulgata dominante, per cui la Germania ha solo approfittato della moneta unica, quando non ha eluso deliberatamente quei parametri di Maastricht a cui invece impicca i reprobi, i paesi del sud Europa?
Propende per quest’ultima lettura Marco Fortis su Il Messaggero di domenica 24, con la conseguenza implicita che davvero serve in Italia un governo stabile che ci traghetti fuori dalla crisi ma purché abbastanza coraggioso e motivato per mettere la parola fine agli obblighi anacronistici ed empiricamente non fondati dei vincoli europei, dei parametri di Maastricht che hanno avvantaggiato solo Berlino e il Nord Europa. Una premessa storica è decisiva: bisogna tornare al 1998 quando la Germania post unificazione era la grande malata d’Europa.
Le famiglie tedesche, dopo la riunificazione delle due Germanie, erano super-indebitate. La ricchezza finanziaria netta delle famiglie tedesche era di appena 1.796 miliardi di euro contro i 2.229 miliardi delle famiglie italiane. Il debito pubblico tedesco del 1998, se espresso in percentuale della ricchezza finanziaria netta delle famiglie anziché del Pil, era di gran lunga più elevato (66%) di quello italiano (56%). Il rapporto debito pubblico/Pil è stupido almeno quanto i parametri di Maastricht ed in questi ultimi anni è servito a nascondere la reale sostenibilità dei debiti di molti Paesi ed a metterne in croce altri, in particolare l’Italia, eterna pecora nera ben al di là dei propri demeriti. (Marco Fortis, Il Messaggero)
L’arrivo dell’euro cambia tutto. Valuta e parametri spregiudicatamente elusi sono una manna per le esportazioni. Al cospetto di questi fattori, è del tutto ingiustificato il grande rilievo dato alle riforme del mercato del lavoro che pure hanno consolidato la crescita.
Ciò che ha reso davvero ricca e creditrice la Germania verso l’estero, mettendola nelle condizioni di dettare oggi legge in Europa, è stato l’euro, non le riforme e tantomeno la crescita del Pil. C’è una cifra chiave che spiega il dominio attuale della Germania: tra il 1999 e il 2012 il surplus bilaterale commerciale cumulato di Berlino con i 5 principali Paesi del Sud Europa (Francia, Italia, Spagna, Portogallo e Grecia) è ammontato a circa 840 miliardi di euro. E’ grazie a questo bottino che la posizione finanziaria netta sull’estero della Germania è cresciuta sino a toccare nel 2012 il 41,5% del Pil. Inoltre, grazie al surplus con questi Paesi la Germania ha potuto sopportare il rincaro della bolletta energetica quasi senza accorgersene. (Marco Fortis, Il Messaggero)
Altro importante luogo comune che Fortis intende sfatare è quello della grande penetrazione commerciale nei paesi delle economie che stanno emergendo con prepotenza (i cosiddetti Bric), che in teoria dovrebbe provare la grande dinamicità dell’industria tedesca e la sua vittoria nella sfida competitiva. Fino al 2007 la bilancia commerciale verso quei paesi era ampiamente in deficit. A dimostrazione, invece, il surplus tedeschi con i sud Europa è cresciuto prima della crisi mondiale del 2008, cioè dal 1999 al 2007, quando il tasso di cambio fisso dell’euro ha aiutato notevolmente le esportazioni tedesche in una fase di protratto aumento della domanda estera, mentre nel frattempo Berlino sostituiva cinicamente l’import da quei paesi con i prodotti a più basso costo della Cina. In conclusione Fortis usa la forza dei numeri per spiegare il processo che ha portato alla situazione attuale:
Dal 1999 al 2007 le importazioni di auto dei «generosi» Pse dalla Germania sono aumentate di 20 miliardi di euro, quelle di farmaci di 3,4 miliardi e quelle di apparecchi elettrici di 5,3 miliardi. Ma intanto le «ingrate» importazioni tedesche di abbigliamento dai Pse diminuivano di 1,1 miliardi (con un calo di 750 milioni dalla sola Italia); quelle di prodotti tessili di 731 milioni (-362 milioni dall’Italia); quelle di calzature di 624 milioni (-302 milioni dall’Italia); quelle di mobili di 383 milioni (-302 milioni dall’Italia). Nello stesso periodo le importazioni tedesche di abbigliamento dalla Cina sono cresciute di 3,3 miliardi, quelle di prodotti tessili di 662 milioni, quelle di calzature di 664 milioni e quelle di mobili di 817 milioni, solo per fare alcuni esempi. (Marco Fortis, Il Messaggero)
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