Ora che il tecnico Giavazzi è stato chiamato a soccorrere la squadra dei tecnici è utile tornare sul rapporto con il presidente del Consiglio Monti. I duellanti, come un vecchio film di Ridley Scott, sono destinati a non deporre mai le armi. Una disputa intellettuale senza esclusioni di colpi quella tra i due professori bocconiani Giavazzi e Monti, che investe il Governo del Paese e le scelte di indirizzo economico. Il primo affila le armi della critica attraverso editoriali sul Corriere della Sera forte della reputazione internazionale: le sue critiche sono ascoltate, la cattedra alla Bocconi gli conferisce prestigio e consenso per liquidare con giudizi tranchant l’opera Montiana.
Il secondo ha dovuto subire varie lezioni a mezzo stampa, da professore ne è rimasto ferito, da politico tutt’altro che sprovveduto ne ha disinnescato la minaccia chiamandolo al Governo. L’ultima puntata della saga è del 3 maggio. “Buone intenzioni e acqua fresca” si intitola l’ennesimo affondo del duo Giavazzi-Alesina sul Corriere della Sera del 3 maggio che ridimensiona le trionfali aspettative dell’ennesimo annuncio dei tagli alla spesa pubblica. Un titolo che è tutto un programma: ma la sorpresa finale è affidata al post scriptum, dove Giavazzi conferma ogni virgola della sua requisitoria, ma non disdegna l’invito a passare dall’altra parte.
In dettaglio, vediamo passo passo dove si appuntano le maggiori riserve all’azione del Governo. Prima stoccata: “La spending review, e cioè l’analisi e revisione della spesa pubblica, ha partorito un timido topolino, un risultato quasi imbarazzante per il governo”. Imbarazzante dunque, una bocciatura sonora che giudica velleitario l’impegno a ridurre la spesa: come dire non ne siete capaci.
Seconda stoccata. “Il governo Monti ha alzato la pressione fiscale di tre punti, dal 42,5 al 45,4% del Pil (era il 40% sette anni fa). Sulla spesa invece non ha fatto quasi nulla, tranne gli interventi sulle pensioni, certo importanti, ma i cui effetti si verificheranno in modo graduale nei prossimi anni. I tetti agli stipendi più elevati dei dirigenti pubblici, la cancellazione della maggior parte dei voli di Stato, i limiti all’uso delle auto di servizio, la rinuncia al compenso per alcuni membri del governo, hanno un significato etico assai importante, ma nessun effetto macroeconomico”. Qui Giavazzi e Alesina non fanno altro che sottolineare ciò che da mesi ripetono: basta con le tasse, bisogna diminuirle e le discussioni su compensi e retribuzioni, o auto blu e pensioni d’oro interessano la letteratura anti-casta, ma non spostano il problema della crescita e del controllo dei conti di un centimetro.
L’obiettivo della contestazione dei due economisti è che prevale la paura di toccare la spesa sociale e previdenziale, confidando nella sola virtù della riduzione degli sprechi invece di affrontare il toro per le corna. “Secondo la spending review annunciata lunedì dal governo, non solo la spesa previdenziale non è rivedibile, ma in tempi ravvicinati non lo sono neppure i tre quarti di quella non previdenziale: e all’interno di questa non più di 80 miliardi, ossia il 5% del Pil. A fronte di una spesa che raggiunge il 50% del Pil ed è in gran parte evidentemente inefficiente, l’obiettivo è di «rivederne» (si evita accuratamente di usare il verbo «ridurre») non più di un decimo, e questo in un Paese in cui i contribuenti onesti sono soffocati dalla pressione fiscale. E ciò senza indicare nulla di concreto”.
Ancora, l’accusa è di muovere parecchio fumo intorno al concetto di spending review nascondendo la circostanza che l’arrosto da affettare è ben custodito nella dispensa. Ma questo significa che “il governo sembra non rendersi conto che l’Italia rischia di avvitarsi in una spirale di tasse, recessione, deficit e ancor più tasse. Purtroppo i dati sulla crescita del primo trimestre potrebbero essere una brutta sorpresa per i mercati”.
Ne discendono due lezioni ancora da impartire al professor Monti. La prima: le uniche correzioni di conti che riescano sono quelle “che riducono le spese, aprendo così la strada a riduzioni del carico fiscale”. La seconda: funzionano meglio se si stimola la crescita. La tirata d’orecchie è impietosa: “Monti ripete che non può escludere un aumento dell’Iva. Non ci siamo proprio”. Al massimo rimandato a settembre, o che ripeta l’anno sembra suggerire Giavazzi. Ma in coda all’articolo, invece del classico veleno, Giavazzi dà la sua disponibilità ad accettare l’incarico offertogli da Monti concedendo l’onore delle armi al duellante di Palazzo Chigi: “Poiché non abbiamo risparmiato critiche al suo Governo, questo dimostra che Mario Monti è una persona pronta ad ascoltare anche chi lo critica, tratto non comune in Italia”.