Il Giornale: “Jaguar, scarpe, feste in yacht. Quando il dettaglio ti rovina”

Il Giornale: "Jaguar, scarpe, feste in yacht. Quando il dettaglio ti rovina"
Il Giornale: “Jaguar, scarpe, feste in yacht. Quando il dettaglio ti rovina”

ROMA – Jaguar, scarpe, feste in yacht, “quando il dettaglio ti rovina” scrive Paolo Bracalini sul Giornale,  quando “arriva il clic, la foto che ti frega, sei finito. Può essere an­che un frase nata storta («se do­vessi acclarare che la mia casa è stata pagata da altri senza saper­ne io il motivo… »), una paparaz­zata clandestina ( il portavoce di Prodi affacciato sul viale dei trans), un dettaglio sottovaluta­to, apparentemente innocuo, ma che ti si appiccica addosso, per sempre, come un flagello”.

L’articolo di Bracalini:

La Ja­guar non è sua? Modello vec­chio che varrà 2mila euro? E poi lui, imprenditore agricolo in bancarotta, non ha neppure un’utilitaria? Tutto vero, ma non importa, ormai è marchia­to, schiacciato dal fotogramma fatale. Può accampare, come scusa per l’errore a porta vuota, l’inesperienza della ribalta e del­le sue trappole. Già molti, più scafati di lui, lea­der politici o presunti tali, erano già scivolati sulla buccia di un particolare, rompendosi le os­sa. «I giornali dovrebbero occu­parsi di questioni più serie » sbot­tò alla fine D’Alema, dopo l’en­nesimo articolo sulle sue scarpe chic, fatte a mano da un artigia­no calabrese, valore presunto (ma smentito dall’interessato)1 milione e mezzo di lire, il famo­so stipendio del metalmeccani­co Cipputi. Quel dettaglio, insie­me alla barca a vela, passioni post-comuniste del D’Alema ri­pulito (e rivestito) dagli spin doctor reucci di Capri, lo ha per­seguitato per anni, sempre in ag­guato in ogni polemica, sempre rinfacciabile. «Non capisco il perché, non lo capirò mai» dirà D’Alema, irritato. Ma quando poi, beccato da Chi a passeggio nell’esclusiva St.Moritz,si difen­derà tornando ancora alle scar­pe: «Le ho comprate da Deca­thlon, costano 29 euro, se non ci credete chiedete pure a quelli che erano in fila con me…». Un’ossessione.
Colpita e affondata dal foto­gramma anche l’allora ministra Melandri. «Non ho mai soggior­nato nella villa di Flavio Briatore a Malindi» precisò all’ Espresso , aggiungendo di essere stata sì in Kenya, ma da «turista consape­vole », non cafonal. Non abba­stanza consapevole, però, per­ché non si era accorta, la Melan­dri, che qualcuno aveva fatto clic. La foto, con lei scatenata in un ballo in kaffetano, uscì su Chi , con sbertucciamento inclu­so, nientemeno che della Ventu­ra ( «Non capisco perché non di­ca di essere stata ospite di Flavio a Malindi. Io c’ero e ricordo di aver trascorso il Capodanno con lei e un paio di amiche») e asfaltamento finale dall’ospite schifato, Briatore: «È stata da me in Kenya, ha bevuto champagne al tavolo con noi, poi ha negato». Una maxxi figuraccia.
«Il richiamo eversivo che arri­va dai cannoli» titolò invece la Repubblica nelle pagine di Paler­mo, a commento di un altro foto­gramma cult: il presidente sici­liano Cuffaro che, il giorno dopo essersi beccato una condanna a cinque anni «solo» per favoreg­giamento semplice, festeggia con un vassoio di cannoli stra­bordanti ricotta e pistacchi. Il suo declino, finito con la galera (dal 2011 è a Rebibbia), è inizia­to con quei cannoli. E chissà quanto ha lavorato,nel subcon­scio dell’elettorato, quella risata offensiva, per Pecoraro Scanio, ex leader dei Verdi finito in soffit­ta. Nel 2006 un fotografo zoom­ma su di lui, in chiesa, insieme al governatore emiliano Errani, mentre ride di gusto, con la lin­gua di fuori, nel momento più sbagliato: in chiesa, mentre il sa­cerdote celebra il funerale dei soldati italiani morti a Nassiriya. «Una grave strumentalizzazio­ne, una indegna campagna» pro­veranno a difenderlo i Verdi. Con poco successo.
Ne è uscito illeso, alla fine, il sindaco Emiliano, gran consu­matore di mitili, donatigli in gran quantità dai costruttori ba­resi poi indagati per corruzione.
Ma la storia delle cozze pelose ha rischiato di travolgerlo. «Sin­daco, come va?», gli chiese un cronista, in pieno scandalo: «Di merda». Mi processo davanti a tutti per quattro spigole e cin­quanta cozze pelose e mi con­danno. Per leggerezza. Ho sba­gliato, sono stato un fesso, non certo un corrotto». Salvo per un pelo, di cozza. Forse perché non c’era una foto ad inchiodarlo.
Guai al paparazzo che ha bec­cato l’udiccino Michele Vietti, vi­cepresidente del Csm, con in braccio un’affascinante signora con decolté ad altezza ombeli­co. In costume variopinto, impe­gnato in una danza con tre ragaz­ze su uno yacht è invece la foto che aggiorna e rivede l’immagi­ne di ciellino «memores domi­ni » (povertà, castità e obbedien­za) di Roberto Formigoni. Volon­tario, invece, il book fotografico stile secondo impero scelto dal­l’allora presidente della Came­ra Gianfranco Fini, per presenta­re, sulle pagine del settimanale Oggi , tutta la sua nuova famiglia Fini-Tulliani. Al suo fianco il co­gnato, quello della casa di Mon­tecarlo. La sventura politica di Fi­ni immortalata in un clic.

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