“Gli azionisti del Corriere pronti a cacciare De Bortoli”, Vittorio Feltri sul Giornale

di Redazione Blitz
Pubblicato il 9 Aprile 2014 - 10:03 OLTRE 6 MESI FA
Gli azionisti del «Corriere» pronti a cacciare De Bortoli

De Bortoli (LaPresse)

ROMA – “Il Corriere cambia direttore. Ma andrà meglio?” Questo è il titolo dell’articolo sul Giornale a firma di Vittorio Feltri:

Il lettore se comincio que­sto pezzo con una notizia: al Cor­riere della Sera c’è maretta. Peggio, bur­rasca. Le liti in via Solferino sono ende­miche, ma quella di ieri – sviluppatasi e trattata nell’assemblea dei giornalisti ­è più importante delle solite. E, in qual­che misura, ha coinvolto il signor diret­tore bis Ferruccio de Bortoli, il quale non ne può più di stare seduto sulla pol­trona numero uno e cerca in ogni modo di farsi buttare giù, ma non gratis. Ha ra­gione. Al suo posto farei lo stesso. E di­rei: vi sto sullo stomaco? Arrangiatevi. Mi licenziate, mi pagate, anzi, strapaga­te, e io tolgo il disturbo senza fiatare. Se aspettate che mi dimetta di mia sponte, senza l’incentivo del grano, andate a farvi benedire.

Oddio, Ferruccio non è il tipo da par­lare così schiettamente, ma la sostanza del suo comportamento non muterà: egli vuole la «liquida», che è l’unica ar­ma di difesa e di offesa dei monarchi giornalistici. Chi mi legge si domanderà che cosa stia succedendo nella stori­ca testata. Ve lo dico subito. L’azienda – Rcs – vive da anni in una situazione difficile. Per un motivo banale, ma decisivo: essa ha speso a lungo più soldi di quanti ne abbia incassati, inse­guendo sogni di gloria. Per esem­pio, l’acquisto di giornali spagno­li­che furono pagati molto ma va­levano poco, o niente. La cassa non solo si è svuotata, ma si è in­debitata.

Oggi i bilanci del baraccone riz­zoliano piangono lacrime ama­re. Il Corrierone , pur essendo an­cora in piedi ( in equilibrio preca­rio) non ce la fa a saldare il deficit provocato dai dirigenti balordi del gruppo. Cosicché alla fine di ogni anno è una tragedia. Biso­gna tappare i buchi. Gli azionisti all’idea di mettere mano al porta­fogli non fanno salti di gioia. E si dannano l’anima per tagliare di qua e di là le spese onde recupera­re denaro. Sembrano Matteo Renzi alle prese con la spending review. Poveracci. Sono titolari di banche e di industrie fiorenti, ma se occorre cacciare quattrini assomigliano a barboni. Gli im­prenditori sono tutti uguali: sim­patici quando guadagnano, odio­si quando ci smenano.

Senza farla tanto lunga, oggi succede quanto segue. Le quote azionarie più consistenti sono della Fiat, nel senso di John Elkann. Poi ci sono le partecipa­zioni di Diego Della Valle e di va­rie banche. Questa gente, però, non va d’accordo neanche sulla scelta degli aperitivi durante le riunioni consiliari, figuriamoci sulle linee strategiche del bordel­lo editoriale.

Va da sé che un gruppo concia­to in questo modo non sia in gra­do di darsi una regolata sul mer­cato. Lo stesso Corriere ha grossi problemi: perde copie come un vecchio perde i capelli ed è desti­nato alla calvizie. Gli altri giornali ( compresi i periodici e La Gazzet­ta dello Sport ) si danno da fare, ma il momento è quello che è: nonfavorevoleallacartastampa­ta. Quando le cose vanno male, e i soci si azzuffano tra loro accu­sandosi a vicenda del disastro, c’è poco da stare allegri.

Il futuro appare nebuloso. E il presente fa venire i brividi. In ogni caso, quando tutto pare sul punto di precipitare, bisogna rea­gire. E i padroni del vapore si agi­tano, e deliberano a capocchia. Di norma il primo provvedimen­to che ad­ottano è il cambiamen­to del direttore, cui attribuiscono ogni demerito e mai un merito. Fuori il vecchio, dentro il nuovo nella speranza che quest’ultimo sia un taumaturgo. Illusione. Il Corriere è di per sé un brand. Il ti­moniere della redazione può es­sere un valore aggiunto, ma non è mai determinante ai fini del fat­turato. Ma questi sono particola­ri su cui il Consiglio di ammini­strazione di regola sorvola. Agi­sce d’istinto. Per cui non mi sor­prenderei se mandasse a casa de Bortoli e assumesse un leader ca­pace di fare peggio. Le ipotesi che vanno per la maggiore suffraga­no il mio dubbio. Secondo radio fante sarebbe pronto a subentra­re l’attuale direttore della Stam­pa , Mario Calabresi. Figlio del commissariodipoliziaassassina­to nel 1972, è molto stimato da Elkann, malgrado il quotidiano torinese non abbia registrato un esplosivo aumento di copie ven­dute, anzi. Ma questi sono picco­li­particolari, almeno nel giudizio degli editori, notoriamente peg­giori addirittura dei giornalisti.

Se Calabresi approderà a Mila­no, Massimo Gramellini prende­rà il suo posto- si mormora- a To­rino, dove oggi ricopre il ruolo di vice. Contento lui, contenti tutti. Non è finita. Qualcuno sussurra nei corridoi affollati di via Solferi­no – sede vetusta quanto amata dai redattori corriereschi – che l’alternativa a Calabresi potreb­be essere Giulio Anselmi. Il quale però ha un grave handicap: è troppo bravo e minaccerebbe di raddrizzare le gambe al Corriere . Per cui la sua candidatura sarà scartata- presumo- allo scopo di scongiurare la resurrezione del­l’ex primo quotidiano italiano (…)