Governo, allarme Ue su debito Italia, Juve-Bayern: rassegna stampa e prime pagine

ROMA – Bindi avverte Bersani “Niente baratti sul Colle”. La Stampa: “La presidente Pd, Rosy Bindi, rivolge un avvertimento a Bersani: «Non si baratta il Colle per un governo di minoranza». Renzi attacca: boicottato dal partito. Il segretario: falsità.”

Presidenti e commissari. Oltre trenta poltrone da nominare entro l’anno. L’articolo a firma di Marco Zatterin:

“Trenta nomine per cambiare la faccia dell’Unione europea, tutte nel giro di un anno e poco più. Il 2014 porterà a scadenza il presidente del Consiglio, Herman Van Rompuy, e quello della Commissione, Josè Manuel Barroso, mentre calerà il sipario sul controverso mandato dell’alto rappresentante per la Politica estera, Catherine Ashton. In maggio voteremo il nuovo Europarlamento, dunque uscirà di scena Martin Schulz e si dovranno designare i due deputati destinati a spartirsi lo scranno di leader dell’ottava legislatura a suffragio universale. Entro l’autunno andrà rinnovata l’intera Commissione, organo esecutivo del patto a Ventisette. Le capitali hanno già cominciato a tessere la loro tela e messo i bollini sulle poltrone ambite. L’Italia non è ancora in gioco, distratta più del solito dalla sua crisi. E, se continua così, rischia di rimanere tristemente in panchina.”

Cassa integrazione record ma si devono trovare i fondi per finanziarla. L’articolo a firma di Roberto Giovannini:

“Per questo strumento di tutela che per molti osservatori non è peraltro nemmeno adeguato, come importo, a garantire a una famiglia un tenore di vita decente – le risorse a suo tempo stanziate sembrano ormai esaurite. Che la situazione da questo punto di vista sia drammatica lo testimoniano gli allarmi sempre più disperati lanciati da sindacati e autorità in tante Regioni. In Liguria, tanto per fare un esempio, sono circa 10.000 i lavoratori garantiti dalla Cig in deroga. Ma per loro, dicono le organizzazioni sindacali, ci sono soltanto 18 milioni invece dei 50 che sarebbero necessari. Identica situazione critica c’è in Lombardia – il governatore Roberto Maroni ipotizza servano 300 milioni – nelle Marche e anche in Piemonte. Solo per citare qualche caso. Non è chiaro quando finiranno i fondi. Né c’è accordo neanche su quanto servirà trovare in qualche piega del bilancio pubblico per assicurare gli assegni «in deroga»: gli artigiani della Cna parlano di almeno un miliardo, altre stime dicono due miliardi. Forse di più, come afferma l’ex ministro del Lavoro di Prodi Cesare Damiano. Quel che è certo è che Cgil, Cisl e Uil hanno indetto per il prossimo 16 aprile una manifestazione nazionale per chiedere a governo e Parlamento di trovare risorse ulteriori. Un’impresa non facile né scontata, vista la situazione sempre delicatissima dei conti pubblici e delle casse dello Stato.”

L’allarme dell’Ue sul debito italiano “Rischio contagio”. L’articolo a firma di Marco Zatterin:

“Olli Rehn, titolare della cattedra economica alla Commissione, non ci aggiunge il fattore politico. «Ho piena fiducia il presidente Napolitano farà tutto ciò che è possibile umanamente perché si formi un governo», ammette il finlandese, un po’ più mesto del solito nel presentare l’analisi “macro” in cui Bruxelles misura la pressione congiunturale degli stati membri. Tredici sono sbilanciati, Spagna e Slovenia si presentano come i casi più gravi, la Francia rivela incertezze e la forte Germania dovrebbe lavorare sulla domanda per aiutare gli altri. L’Italia, in un tale contesto, appare un paziente che si cura con discontinuità, un soggetto con «squilibri seri». «Importanti misure sono state adottate negli ultimi anni per correggere gli squilibri – afferma il documento -, ma la piena attuazione rimane una sfida e restano margini per ulteriori interventi in molte aree». Il cammino delle riforme non è finito, se ne deduce. Anche se, concede Rehn, è «molto probabile» che l’Italia esca dalla procedura di deficit eccessivo a fine maggio, nonostante i costo del decreto pagamenti alle imprese, «positivo per l’economia». Potrebbe aiutare la previsione secondo cui la recessione «toccherà il fondo a metà 2013», magra consolazione visto che l’anno sarà comunque negativo. Tutto il meglio resta però legato al fatto che «sui mercati la calma e la fiducia degli investitori sia ristabilita», perché «le condizioni finanziarie rimangono fragili e le prospettive di crescita nel medio termine moderate». Proprio la vulnerabilità che viene sottolineata espone l’Italia a rischi di importazione e impone un’azione di governo concreta.”

Renzi-Bersani, è l’ora dei veleni. L’articolo a firma di Carlo Bertini e Federico Geremicca:

“«Per tanti motivi avrei volentieri rappresentato la Regione Toscana. Qualcuno mi aveva detto: vai avanti tranquillo, ti votiamo, e poi da Roma è arrivata qualche telefonata per fare il contrario…». L’accusa a Bersani è implicita ma chiarissima, Matteo Renzi reagisce così alla bocciatura del Consiglio regionale della Toscana alla sua nomina a «grande elettore» per il Quirinale. Preannunciata del resto dalla spaccatura del gruppo Pd del giorno prima. «Sono cose che succedono, non era un diritto, né me lo aveva prescritto il medico, ma non mi abituerò mai alla doppiezza», ringhia il sindaco di Firenze. Caustico sulla nomina di Alberto Monaci, presidente del Consiglio regionale, perché «hanno scelto di mandare delegato regionale un autorevole personaggio della politica e del mondo bancario senese. Auguri, in bocca al lupo». E anche se Bersani piccato risponde «chiedete a Telecom se ci sono state telefonate da Roma», i renziani raccontano tutta un’altra storia: e tirano in ballo uno dei fedelissimi del leader Pd, l’emiliano Miro Fiammenghi, della ristretta cerchia del «tortello magico». Il quale sdegnato si dice pronto ad un «confronto all’americana, tabulati alla mano» per smentire che dal suo cellulare siano partite chiamate al governatore bersaniano Enrico Rossi e al capogruppo del Pd toscano, Ruggeri. Insomma un gran caos, da cui Renzi ne esce come la vittima sacrificale di un «trappolone» contro di lui e che produce un danno di immagine all’intero partito, a sentire i suoi. Ne scaturisce una lettura affatto benevola del perché Bersani avrebbe stoppato la sua calata a Roma, «Matteo sarebbe diventato il fenomeno mediatico in Transatlantico, hanno voluto evitarlo». «Non ho fatto nessunissima telefonata e pregherei di credere che, con tutti i problemi che ci sono, l’ultimo è decidere dei 494 nostri grandi elettori chi sia l’uno o l’altro», si difende Bersani al Tg1. Respingendo pure la tesi renziana che si stia perdendo tempo anche per colpa sua, «no, francamente non mi sento responsabile: io una proposta l’ho fatta: governo di cambiamento, convenzione per le riforme istituzionali, corresponsabilità in questo quadro di tutte le forze parlamentari. Mi hanno detto no Grillo e Pdl».”

Ingroia, vai a lavorare. Il Giornale: “Il Csm: no all’incarico in Sicilia, gli tocca Aosta. I napoletani «licenziano» De Magistris. E Fini non vuole mollare l’ufficio a Montecitorio.” L’editoriale a firma di Alessandro Sallusti:

“Come tutti i furbi, Ingroia al momento di candidarsi non si era dimesso. No, si era messo in aspettativa e- una volta sconfit­to dalle urne – chiese di rientra­re nei ranghi. Bene, gli hanno detto i colleghi, la tua nuova se­de è Aosta. Umiliante- senza of­fesa agli amici aostani – per uno che voleva sconfiggere la mafia e arrestare lo Stato. Pur di non fi­nire a indagare sui furti di muc­che, il nostro eroe ha chiesto di poter rimanere in aspettativa per fare l’esattore delle tasse in Sicilia. Cosa triste, ma almeno sarebbe girato l’euro. La rispo­sta del Csm è arrivata ieri: non se ne parla neppure, o Aosta o di­missioni. Caro Ingroia, se ne fac­cia una ragione: la ricreazione è finita, i riflettori si sono spenti e ora, in ogni caso, per campare le toccherà andare a lavorare. E lo diciamo anche a Gian­franco Fini che non molla gli uf­fici di una fantomatica Fonda­zione Camera dei deputati. Se non vuole fare il pensionato ai giardinetti, che si trovi una occu­paz­ione e si paghi scrivanie e se­gretarie. Credetemi, è dura ma ce la potete fare. Milioni di italia­ni ci riescono ogni santo giorno.”

Bersani punta su Maroni per convincere Berlusconi. L’articolo de La Stampa a firma di Amedeo La Mattina:

“Nell’incontro di oggi cercherà di convincere il segretario della Lega a far decollare un governo di centrosinistra dopo l’elezione di un presidente della Repubblica gradito a un’ampia maggioranza parlamentare. Bersani non si illude di sfilare Maroni dall’alleanza di centrodestra: vorrebbe però che il governatore lombardo spingesse il Cavaliere a favorire questa soluzione. Vorrebbe in sostanza che gli ripetesse ciò che il capo leghista promise durante le consultazioni: «Farò di tutto per non interrompere la legislatura appena cominciata». E in effetti Maroni sta premendo moltissimo su Berlusconi affinchè non insista nel volere suoi ministri in un eventuale esecutivo guidato dal segretario del Pd. Ma Berlusconi è irremovibile. «Sabato a Bari il giaguaro ruggirà», annunciano i berlusconiani di tutte le sfumature. Dirà quello che sperava di non dover dire dopo l’incontro con Bersani ovvero che quest’ultimo è fuori di testa: con la sua ostinazione contro il governissimo sta portando l’Italia alla bancarotta. Non ci sono soluzioni mediane: o si fa un esecutivo di coalizione con ministri del Pdl o elezioni a fine giugno. E questo indipendentemente da chi sarà il nuovo capo dello Stato. Certo, il nuovo inquilino del Quirinale sarà pure di garanzia. «E ci mancherebbe altro che il presidente della Repubblica non rappresenti tutti gli italiani, anche quelli che hanno votato per noi – rimarca il capogruppo alla Camera Brunetta – altrimenti non sarebbe un buon presidente. L’incontro con Bersani non è servito a nulla, sono state dette tante banalità e luoghi comuni».”

Il Colle a Grillo “Il messaggio non era per lui”. L’articolo de La Stampa a firma di Amedeo La Mattina:

“Ci ha pensato a lungo Beppe Grillo. Voleva essere intimamente sicuro. Perché, dopo anni di guerra fredda, il Quirinale gli è diventato improvvisamente simpatico. Non l’istituzione. Quella mai. Almeno non così lussuosamente concepita. Ma il suo inquilino sì. A chi si era dunque rivolto lunedì scorso, Giorgio Napolitano, in occasione della commemorazione del senatore Gerardo Chiaromonte? A chi faceva riferimento il Capo dello Stato parlando di «troppi moralisti fanatici» che produrrebbero certe campagne «negatrici e distruttive della politica»? La risposta, come sempre, il papa ligure l’ha consegnata al blog. Lui, che dà l’impressione di usare le parole come un coltello a serramanico lungo un palmo, la distanza esatta che passa tra il petto e il cuore, stavolta ha scelto una chiave ironica. Non frontale. Ma, in definitiva – come si vedrà fuori fuoco. «Dopo varie riflessioni sono arrivato alla certezza che il nostro presidente si riferisse al Movimento 5 Stelle e di questo lo ringrazio». A me? Parla proprio a me? Una certezza che lo fa godere. Quelle parole gli piacciono. Gli consentono di affondare, così crede, un nuovo colpo, di regalare un nuovo sermone. «L’M5S vuole infatti moralizzare la vita pubblica senza scendere a compromessi. È questo il messaggio autentico dell’inquilino pro tempore del Quirinale a noi rivolto. Quale miglior viatico e complimento? Grazie presidente! L’M5S porterà all’eccesso la moralità in politica. Il lavoro che aspetta è enorme. L’immoralità è ovunque. La sua benedizione ci dà conforto». La sua benedizione?”.

Altro che tranquillo: Monti teme che i marò finiscano impiccati. L’articolo de Il Giornale a firma di Fausto Biloslavo:

“Però, dopo aver rimandato Latorre e Girone in India calan­doci le braghe, le autorità di Delhi hanno passato l’inchie­sta sul caso alla Nia: una specie di Fbi locale, che ha ripreso tut­te le accuse del Kerala contro i marò comprese quelle che pre­vedono la pena di morte. Per questo Monti ha alzato la cor­netta chiamando il capo del go­verno indiano. Ieri l’ Hindustan Times non a caso titolava: «Un preoccupato premier (italia­no) telefona a Singh». L’idea non peregrina dell’ar­bitrato internazionale lanciata l’11 marzo, quando si era deci­so di tenere i marò in Italia, è ri­masta lettera morta. E in più stiamo rinunciando all’ultima linea del Piave. Nella stessa tele­fonata di Monti a Singh, per chiedere che non condannino a morte i marò, abbiamo impli­citam­ente riconosciuto la giuri­sdizione indiana. Su Facebook, l’ex ministro degli Esteri Giulio Terzi, ha subito scritto: «Torno tuttavia a ribadire *a gran voce e con fermezza* che nulla vieta che il Governo italiano chieda (anche unilateralmente, non serve l’assenso dell’India) di aprire un arbitrato internazio­nale su questo delicato e impor­tante dossier, al fine di ribadire – cosa che abbiamo sempre det­to e che invece ad oggi pare pur­troppo non essere più di ‘ attua­lità’- che la giurisdizione del ca­so non può che essere italia­na… ».”

Strada chiusa. Juve battuta ed eliminata: il Bayern conferma la netta superiorità. L’articolo de La Stampa a firma di Marco Ansaldo:

“Giù il cappello e tutti a casa per raccogliere in campionato quanto era impossibile prendere in Europa. A certi livelli non basta la buona volontà, serve l’attrezzatura giusta e il Bayern ha dimostrato anche a Torino di stare tre spanne sopra la Juventus. È una constatazione che attenua il rammarico dei bianconeri eliminati dalla Champions League: non puoi arrabbiarti neppure con te stesso quando provi a dare il meglio e gli avversari ti passano sopra con facilità. Infatti il pubblico ha capito e alla fine ha applaudito la sconfitta: cosa intelligente, perciò rara. Se sulla sconfitta dell’Allianz Arena si era steso il dubbio che fosse stata una Juve modesta e insana a ingigantire i bavaresi, sbagliando l’approccio al match, nello 0-2 del ritorno la statura del aBayern è emersa senza se e senza ma. L’unico sfizio che avremmo voluto toglierci sarebbe stato vedere lo stesso confronto giocato dalla Juve con il miglior Marchisio e con il Pirlo dell’anno scorso che sbagliava in una stagione meno lanci di quanti abbia falliti nei due match con i vicecampioni d’Europa. Finchè c’è stato un abbozzo di partita, cioè fino al gol di Mandzukic che ha posto la pietra tombalesuogniillusionejuventina, è stato come assistere alla «gag» in cui c’è il pugile più bassetto che tenta di colpire ma tira i pugni all’aria e l’altro che gli tiene la mano sulla testa aspettando che finisca lo sfogo.”

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