Grillo, Berlusconi e “Il tempo della retecrazia”: Barbara Spinelli su Repubblica

ROMA – Mobilitare le folle, incitare all’ira, dipingersi come il nuovo e l’antipolitica: Beppe Grillo e Silvio Berlusconi hanno alcuni tratti in comune. Per questo, sottolinea Barbara Spinelli su Repubblica, appare bizzarra la sottovalutazione del comico genovese da parte dell’ex premier, arrivato a dire “a noi Grillo ci fa un baffo”.

Entrambi i leader, poi, a modo loro hanno puntato su due dei più potenti mezzi di comunicazione di massa dell’epoca contemporanea: Berlusconi sulla televisione, Grillo sul web. 

 

“Vi sono tuttavia differenze non trascurabili, fra l’irresistibile ascesa dei due leader. Il primo, quando entrò in politica, disponeva di ricchezze inaudite (accumulate con aiuti pubblici, va ricordato) che il Movimento 5 Stelle neanche si sogna. Soprattutto, possedeva un potere cruciale: tutte le Tv private, cui s’aggiungeva, da premier, il servizio pubblico Rai. Non solo: Grillo vede la crisi; Berlusconi s’ostina a negarla, garantendo che con lui al governo sarà spazzata via.

Siamo stati indotti a considerare il suo conflitto di interessi un impedimento. Fu invece il dispositivo che gli consentì di piegare i politici: in ogni accenno al suo dominio mediatico egli vedeva un’espropriazione. Non stupisce che il conflitto sopravviva tale e quale da anni. Stupisce che non sia stato visto come un problema gravissimo prima che il giocatore entrasse in politica con quell’asso. Che non si sia capito subito l’essenziale: un controllo così pervasivo della comunicazione, in un paese dove l’80 per cento dei cittadini s’informa alla Tv, storce le usanze democratiche, e infine chiama vendetta. Spegne il pluralismo, corrompe e uniforma le menti, trasforma i vocabolari di tutti: governanti, oppositori, classi dirigenti, cittadini comuni.

Da questo punto di vista Grillo innova e dice cose non incongrue, quando denuncia i politici, le istituzioni, i giornali. Tende a fare di ogni erba un fascio – è giusto dirlo – ma è vero che tante erbe si son fatte volontariamente fasciare per anni. Al tempo stesso è figlio di quel dispositivo, al cui centro c’è un’idea di democrazia diretta che usa l’informazione non per seminare conoscenze ma per forgiare un pensiero unico sull’Italia, l’Europa, il mondo. Il suo mezzo non è più la televisione: questa scatola più che mai tonta, come la chiamano gli spagnoli. Né la stampa cartacea, che ha una memoria meno immediata di quella digitale. È il mondo non più inscatolato ma aperto, informe, straordinariamente libero di Internet.

Un mondo già scoperto da Obama, quando diventò Presidente nel 2009. Grazie al web, egli ha ottenuto due volte un mandato popolare che lo emancipa, se vuole, da lobby e partiti. Capace di disseminazione virale, la rete scavalca la senile televisione. Ma essendo informe è anche in grado di farsi bellicosa: nel libro di Grillo e Casaleggio, la parola guerra è ricorrente, incalzante (Siamo in Guerra, Chiarelettere 2011). Guerra “feroce e sempre più rapida”, finita la quale “il vecchio mondo sparirà” e con esso i partiti di ieri, in Italia e ovunque. Guerra totale, addirittura: un termine per nulla anodino, visto che nel 1935 lo usò in un opuscolo omonimo il generale tedesco Ludendorff. Nelle guerre totali non si concedono interviste a giornalisti che ti interrompono con dubbi e domande, anziché applausi. Quel che conta, per Ludendorff, è “abbattere il morale delle retroguardie” (le rappresentanze delle popolazioni non combattenti) più che l’avanguardia al fronte.

In questa lotta fra scatola tonta e web è il secondo, sicuramente, il Nuovo che ci aspetta. In un discorso tenuto nel febbraio 2012 per l’inaugurazione dell’anno accademico della Bocconi, il giurista Piergaetano Marchetti indica i motivi per cui il futuro è nel web, con le sue immense promesse e i suoi rischi. (…)

Ma se la “scossa partecipativa” è formidabilmente liberatoria, osserva Marchetti, non mancano i possibili effetti perversi. Ogni grande liberazione distrugge altri diritti, ogni proclamazione di supremi valori declassa valori non meno importanti. Nella visione di chi guida il Movimento 5 Stelle non c’è coscienza dei limiti, perché i capi interagiscono con la blogosfera rifiutando ogni corpo intermedio, in un tu-per-tu fatale, mai complicabile da persone terze. Non tutti i perché, non tutti i bisogni e i valori che sorgono in rete sono sacrosanti: vanno confrontati con altri princìpi, bisogni. Un’idea prova la sua forza se incoraggia forti idee opposte. Altrimenti si ossifica, e anche se modernissima muore.

In questo Berlusconi e Grillo si somigliano: non sanno contare fino a tre, e in fondo neppure fino a due perché il tu-per-tu col popolo è fusione nell’Uno. Ogni avversario è da abbattere: a cominciare da chi su Internet non naviga, e in un’Italia che invecchia il divario digitale è vasto. (…)

Grillo farà eleggere molti parlamentari, ed è un bene perché il Parlamento è la sede dove gli interessi imbrigliano le passioni. Non gli interessi economici, ma l’interesse come lo si intendeva nel ‘500: la passione razionale che controbilancia quelle irrazionali, e secerne l’interesse generale e la separazione dei poteri. Grillo e Casaleggio scrivono che sarà la rete a scrivere leggi e costituzioni. Ma la rete cos’è? Come delibera precisamente? Se la rete vuole la pena di morte la reintroduciamo? In Islanda (un modello, per Grillo) la Costituzione è stata ridiscussa in rete, ma riscritta da più piccoli comitati. In ogni mutazione c’è qualcosa da preservare, da non uccidere. Altrimenti entriamo nella logica del potere indiscutibile, legibus solutus, anelato da Berlusconi (…)

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