ROMA – “Guglielmo – scrive Pierluigi Panza sul Corriere della Sera – architetto sì, laureato al Politecnico nel ’39, ma architetto al modo dei grandi utopisti settecenteschi come Ledoux e Boullée, al modo dei grandi inventori di volumi. Guglielmo: progressista sì, ma nel solco dei socialisti utopisti ottocenteschi, dei dispensatori di valori umanitari. E poi visionario come Paolo Soleri, ironico, aneddotico, direi con un fare spiccio e militaresco che gli era rimasto attaccato da quando aveva servito nell’esercito italiano come capitano, ottenendo la resa di un Comando dei Fasci il 25 luglio ’43 prima di passare alla Resistenza”.
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Guglielmo Mozzoni, morto ieri a Milano a pochi mesi dal traguardo centenario, era nato nobile in una bella villa di Biumo Superiore (Varese) costruita da Pellegrino Tibaldi il 28 marzo del 1915. Sopravvissuto, «grazie a 15 mila franchi svizzeri», a un’imboscata il 21 gennaio del ’45 mentre passava con altri partigiani dalla Svizzera a Cernobbio, dopo la guerra aprì uno studio a Milano con il collega Luigi Ghidini. Il loro primo lavoro, la casa di Casorate Sempione, andò nel segno del Movimento Moderno e ottenne la pubblicazione su «Domus». Nel ’51, alla Zelata di Bereguardo, vicino al Ticino (dove ancora oggi la famiglia è proprietaria di cascine che producono riso biologico), ideò una casa coloniale su palafitte dove amò poi passare il tempo insieme alla moglie, Giulia Maria Crespi, fondatrice del Fai (Fondo per l’ambiente italiano). Progettò poi insediamenti a Villasimius in Sardegna e lungo il Corno d’Oro di Istanbul.
Quando, nel 1983, la famiglia Doria Pamphilj donò al Fai l’eremo di San Fruttuoso a Camogli, Mozzoni curò l’intervento di recupero del complesso (nella foto in alto è all’interno del complesso, con il modellino in mano), il primo grande «luogo del cuore» del Fai. Seguì, insieme all’amico di nobile famiglia milanese Pier Fausto Bagatti Valsecchi, il recupero del complesso di Villa della Porta Bozzolo con relativo giardino.
Negli ultimi decenni, mentre l’architettura fuggiva dall’arte del disegno e dal culto nobile per i luoghi in favore di logiche funzionali e speculative, il gentiluomo Mozzoni sperimentò la grande scala: fu tra gli architetti ammessi a partecipare alla progettazione della nuova sede della Regione Lombardia. Ma nemmeno la grande scala gli bastava e continuò a ideare visioni di mondi possibili. Nel 2000 costituì l’associazione «La Città ideale», attiva nel dibattito sullo sviluppo urbanistico delle grandi città, e in questo ambito progettò la sua città in forma sferica. Si sforzò, attraverso numerosi amici che frequentavano la sua casa di corso Venezia, di dare consistenza funzionale a questa intuizione. «È una città dove 25.000 abitanti possono incontrarsi percorrendo al massimo 240 metri», raccontava. «Ciò elimina la necessità dei trasporti inquinanti: ritengo che questa soluzione sia meno utopica di altre formulate per risolvere il traffico a Milano o a New York». Pensava che Expo potesse essere l’occasione per realizzarla. Ospitare il suo modello e i disegni in uno spazio della rassegna potrà essere un modo per ricordarlo.