Il dubbio di Scalfari (di Draghi?): Matteo Renzi riuscirà dove Roosvelt fallì?

Pubblicato il 18 Agosto 2014 - 13:57 OLTRE 6 MESI FA
Il dubbio di Scalfari (di Draghi?): Matteo Renzi riuscirà dove Roosvelt fallì?

Eugenio Scalfari. Si chiede: Matteo Renzi riuscirà dove Roosvelt fallì?

ROMA – Eugenio Scalfari è tra i pochi che non ha piegato la schiena davanti a Matteo Renzi. Non l’ha piegata davanti a Walter Veltroni o Romano Prodi e Mario Monti, solo che la sindrome del demiurgo in passato, anche recente, non gli ha fatto vedere giusto. Matteo Renzi è troppo galletto e bulletto per piacere a Scalfari, che così non vede il primo grande merito da riconoscere a Renzi, avere messo fuori gioco Beppe Grillo e nemmeno l’impegno titanico che il povero Renzi deve affrontare per cambiare qualcosa.

È un difetto della componente aristocratica della sinistra in Italia: devi uccidere il cinghiale ma senza versarne il sangue. Se è vero che la riforma del Senato è una porcata che interessa a pochi, è anche vero che, salva la democrazia, se non si semplifica il processo legislativo, il loop sarà eterno: per poi lamentarci che mancano i decreti, i regolamenti eccetera.

Però fa bene a chi è al comando chi critica. Un comando senza controcanto fa paura e il primo ad avere paura dovrebbe essere chi è al comando. Purtroppo le critiche non sono gradite mai e così il duce si perde. Chissà se Matteo Renzi legge mai gli editoriali di Scalfari o almeno una sintesi nella rassegna stampa. O anche solo i titoli. Quello, a una colonna a sinistra, dell’ultimo editoriale di Eugenio Scalfari, domenica 17 agosto 2014, suonava un po’ sprezzante:

“Roosvelt non ci riuscì, ora ci prova lo scout italiano”.

Forse Matteo Renzi preferisce i titoloni di Repubblica, che si beve tutto quello che gli viene dal Governo.

Sotto quel titolo, Eugenio Scalfari ha scritto:

“Non c’è alcun dubbio che l’Italia stia attraversando una fase di recessione e di deflazione e non c’è del pari dubbio che la stessa fase la stiano attraversando quasi tutti gli altri Paesi membri dell’Unione europea, in particolare la Francia e la Germania per citare i due principali: cala il Pil, aumenta il deficit, languono esportazioni e importazioni intraeuropee, sono fermi consumi e investimenti. Del resto fenomeni analoghi si manifestano perfino in Cina e in Brasile, il che accentua il carattere mondiale della crisi.

Il nostro presidente del Consiglio non sembra dare molta importanza a questi fenomeni. Punta sulle riforme istituzionali: Senato, Regioni e Province, legge elettorale, giustizia civile e Sblocca Italia. E punta soprattutto sull’Europa, ancora dominata da una politica rigorista che lui vuole capovolgere.

L’appuntamento culminante si prevede per il 30 agosto quando Renzi parlerà nella sua veste di presidente pro tempore del Consiglio europeo. Parlerà cioè con i rappresentanti degli altri Stati nazionali, nei quali risiede tuttora il potere di governare l’Ue, alla faccia degli altri organi di questa strana Confederazione composta da 28 membri, 18 dei quali hanno una moneta comune.

 

[…]

Il 30 agosto Matteo Renzi rivendicherà davanti ai capi di governo europei e al neo presidente della Commissione, la necessità di una nuova politica europea fondata sulla flessibilità, la crescita, la diminuzione della pressione fiscale in Italia e il necessario taglio della spesa pubblica. Rivendicherà inoltre il ruolo di Alta rappresentante della politica estera e della difesa per l’attuale nostra ministra degli Esteri.

Quest’ultima partita è già quasi persa in partenza ma qualora fosse vinta è pura e semplice fuffa. L’ho già scritto tre volte nei miei articoli domenicali: è una carica di semplice apparenza, non ha alcun potere su 28 paesi ciascuno dei quali ha un suo ministro degli Esteri e un suo ministro della Difesa. Avrebbe un senso se ci fosse in quei due settori la cessione di sovranità all’Europa, ma questo è allo stato dei fatti un’ipotesi di terzo grado, cioè irrealizzabile. Debbo dire che, almeno ai miei occhi, sarebbe quanto mai opportuna coi tempi che corrono; ma ove mai da qui a una decina d’anni si realizzassero gli Stati Uniti d’Europa, questa degli Esteri e della Difesa sarebbe l’ultima delle cessioni di sovranità.

Le altre richieste sulla flessibilità, sul rinvio della diminuzione di debito pubblico, sul taglio della spesa pubblica e la diminuzione della pressione fiscale, a me sembrano bubbole.

Bisognerebbe destinare risorse cospicue al taglio dell’Irap. Bisognerebbe che le imprese scoprissero nuovi prodotti e li lanciassero sui mercati, bisognerebbe che investissero in imprese nuove. Bisognerebbe creare un solido sistema di ammortizzatori sociali, bisognerebbe che i contratti aziendali avessero la meglio sui contratti nazionali, sempre che le aziende al di sotto dei 50 dipendenti stipulassero contratti di gruppo con sindacati di gruppo per non lasciare le aziende con pochi dipendenti alla mercé dei padroncini.

E bisognerebbe che Draghi mantenesse i suoi impegni e ai primi di settembre cominciasse la battaglia di fondo contro la deflazione.

Nel frattempo temo che il governo impieghi una parte preziosa del suo tempo alla riforma della legge elettorale che così come la stanno pensando servirà soltanto a rafforzare il potere esecutivo. Ma di questo ho già parlato e ormai me ne è passata la voglia. Un esecutivo forte è quanto ci vuole per farci uscire dalla depressione; se invece il suo principale miraggio è quello di rafforzarsi sempre di più, allora bisognerà ridiscutere non solo di depressione e di deflazione ma anche di democrazia individuale e sovranità popolare fittizia, una strada che rischiamo d’aver già imboccato riducendo il Senato a un’istituzione che prima sarà del tutto abolita e meglio sarà.