ROMA – È proprio orfano l’ultimo grande regalo alle banche. Anche il ministro dello Sviluppo Federica Guidi fa melina sull’anatocismo. La contestatissima norma che reintroduce gli interessi sugli interessi a debito dei correntisti in rosso è di nuovo legge, ma non ha un padre.
È stata inserita nel decreto “competitività”, materia di competenza del ministero della Guidi. Ma “la genesi” non è sua: “Quella parte del decreto è opera del Tesoro”, ha spiegato in un’intervista a Repubblica. “Una polpetta avvelenata della burocrazia” secondo il presidente della commissione Bilancio della Camera, Francesco Boccia (Pd), che promette di farla saltare in Parlamento. Chi l’ha voluta? “So che sembra incredibile, ma non è chiaro – spiega una fonte autorevole del ministero dell’Economia – Sono decreti mostruosi, dove viene infilato di tutto”. Nessun accordo politico? “Di sicuro la norma viene da Bankitalia e dipartimento del Tesoro, un favore clamoroso su pressione delle banche”.
Scrive Carlo Di Foggia sul Fatto Quotidiano:
NEI CORRIDOI di via XX settembre si parla di un interessamento del viceministro Enrico Morando (Pd), e c’è anche chi ipotizza un maldestro tentativo di compensare la “stangata” voluta da Matteo Renzi per coprire parte dal bonus Irpef: l’aumento della tassazione sulle plusvalenze miliardarie incassate dagli istituti di credito grazie alla rivalutazione delle quote di Bankitalia (regalo targato Letta-Saccomanni): 1,8 miliardi (su 7,5 di benefici contabili). L’anatocismo è finito nel testo dove il governo ha fatto confluire le norme stralciate dal decreto sulla Pa per ordine del Quirinale, perché “troppo eterogenee”. Un testo “omnibus” dov’è finito di tutto. Ai tempi di Renzi, nessuno ha il pieno controllo politico della scrittura delle norme, e così lobbisti e professionisti hanno maggiori possibilità di far passare questo o quell’altro comma. Anche senza padri politici, però, il pasticcio è fatto. Eppure è stata la battaglia più sentita dalle associazioni dei consumatori, in particolare dall’Adusbef. Una pratica che risale addirittura a un regio decreto del 1942, andata avanti per decenni e appoggiata da tutti i governi, a cominciare dal quello di Massimo D’Alema, che nel 1999 l’ha inserita nel Testo unico bancario. La si credeva morta e sepolta sotto il peso delle pronunce a raffica di tribunali, Cassazione e addirittura una storica sentenza della Corte costituzionale arrivata nel 2000. Fino ad allora, se si chiedeva un prestito, gli interessi sulla somma ottenuta venivano a loro volta sommati ogni tre mesi per calcolare i nuovi interessi. In questo modo i soldi da restituire aumentavano in modo esponenziale. Tutto finito nel 2000? Non proprio.
I tentativi sono continuati, soprattutto per evitare alle banche di dover restituire i soldi. Già nel 2011 il ministro del Tesoro Giulio Tremonti inserì nel consueto “milleproroghe” di fine anno una norma che in pratica sanava tutto il pregresso, bloccando i rimborsi richiesti dai clienti. Una “prescrizione breve” in barba a una sentenza della Cassazione arrivata solo pochi giorni prima e puntualmente bocciata dalla Consulta nel 2012. L’anno dopo, il divieto di ricorrere a questa pratica è stato inserito nella legge di stabilità. Un testo, in verità, che per stessa ammissione del Mef era poco chiaro, e di fatto lasciava aperta la possibilità a un ripensamento. Come infatti è avvenuto. Ora si riparte da capo, e poco importa che – come recita l’articolo 31 del decreto “competitività” – il calcolo non avverrà più ogni tre mesi, ma solo ogni anno. L’Adusbef (protestano anche le altre associazioni consumatori) ha già annunciato ricorso contro “l’ennesimo regalo alle banche”, che oggi incassano l’obbligo di usare il pos per saldare i professionisti, voluto dal governo Monti, che pagheranno fino a 1200 euro l’anno solo di commissioni.