Il Fatto: “Pd, largo ai signori delle tessere”

Il Fatto: "Pd, largo ai signori delle tessere"
Il Fatto: “Pd, largo ai signori delle tessere”

ROMA – Pd, il partito delle tessere, delle tessere “gonfiate” scrive il Fatto Quotidiano. Per esempio, dopo un lungo periodo di commissariamento per il Pd regionale in Calabria, “le segreterie dei circoli sembrano diventate un luogo di pellegrinaggio”. Il partito sta moltiplicando gli iscritti. Inchiesta firmata Vincenzo Iurillo, Lucio Musolino, Giuseppe Lo Bianco, Tiziana Colluto e Antonio Massari:

Ecco come in Calabria tutti stanno diventando “renziani”. Strane alleanze e “anomali gonfiori” caratterizzano la corsa alla segreteriaprovinciale. “Ètuttaunacontadi tessere” confessa un consigliere regionale. Nel Cosentino c’è chi lo ha denunciato: “Il tesseramento si sta svolgendo senza verifiche.”. A Reggio è in corsa Domenico Idone, sindaco di Campo Calabro, Comune per il quale il Viminale ha disposto la commissione d’accesso per verificareinfiltrazionemafiose. Situazione complicata è a Catanzaro dove, per il presidente di un circolo, Antonio Tarantino, “si è superato il limite alla decenza e al gattopardismo”. Tarantino aveva fatto ricorso contro la candidatura alla segreteria provinciale del neo-renziano Enzo Bruno, condannato a un anno di carcere per truffa aggravata ai danni della pubblicaamministrazione. Prima “bersaniano”, Bruno è un ex consigliere provinciale del Pd, da quasi dieci anni componente “della struttura speciale” del consigliere regionale Piero Amato. In sostanza, quando era consigliere provinciale Bruno avrebbe usufruito dei rimborsi per missioni che, in realtà, erano pernottamenti con la famiglia a Montecatini Terme e a Roma. “Sono una persona per bene-si difende Bruno-Il partito deve difendermi perché è una vicenda che supererò. Non possiamo essere falciati da un’onda giustizialista”. E il partito lo ha difeso: la commissione di garanzia nazionale ha dato il via libera alla sua candidatura. Per Bruno si stanno muovendo i pezzi da novanta del partito calabrese, quelli che Salvatore Scalzo, ex candidato a sindaco di Reggio Calabria, chiama “i capibastone, checonsideranolepersonecome tessere da far valere nei congressi”.

Sicilia: pure Genovese si scopre renziano A Messina si muovono le truppe di Fracantonio Genovese, pronte a sostenere la candidatura del rottamatore Basilio Ridolfo a segretario del Pd, a Trapani quelle di Nino Papania, in attesa di istruzioni, guardano a Renzi con favore: tra tessere fantasma, congressi annullati (l’ultimo è quello di Catania, cancellato ieri) e iscrizioni sospette nel Pd siciliano vecchi ras e giovani leoni si scoprono renziani e ingrossano le fila dei fedelissimi del sindaco di Firenze, che appena un anno fa contava uno sparuto gruppo di aficionados. Più che un’Opa, come l’ha definita il deputato Concetta Raia, è un assalto al carro del potenziale vincitore, a partire dai boss della formazione professionale, serbatoio di stipendi e consensi, Genovese e Platania, entrambi provenienti dalla Margherita. Muovono migliaia di voti nelle province di Messina e Trapani affamate di lavoro e con loro si sono convertiti alla Leopolda politici navigati come Leoluca Orlando ed Enzo Bianco, ma anche giovani leoni come Fabrizio Ferrandelli, ex delfino di Orlando e il sindaco di Agrigento Marco Zambuto, cresciuto nel movimento giovanile dell’Udc. Stregata da Renzi, Stefania Munafò ha abbandonato il centrodestra per correre in soccorso del rottamatore: consigliere comunale a Palermo, fino a due mesi stava nel partito di Lombardo. E vicino a Lombardo era anche il deputato Pd Giuseppe Laccoto, ex presidente della commissione Sanità, un passato in Forza Italia, oggi renziano di ferro. Intanto le file per il tesseramento fuori dai circoli del Pd sono diventate chilometriche.

A Catania, dove avevano mandato come osservatore il bersaniano Nino Stumpo, tutto congelato. I due candidati segretario provinciale Jacopo Torrisi e Mauro Mangano hanno ritirato le candidature. E il coordinatore della Commissione provinciale per il congresso ha sospeso le procedure. Puglia: consultazioni a rischio a Lecce e Foggia Più che una realtà vera, le tessere che nel Pd pugliese starebbero lievitando come il pane sembrano un alibi per congelare i congressi. Almeno quelli più controversi, alle due estremità della regione: Lecce e Foggia. Contese aspre, anche a causa delle casacche indossate da parlamentari e assessori regionali. È addosso a quelle dispute avvelenate che sono puntati gli occhi di Roma. Lunedì a Bari arriverà Davide Zoggia, responsabile organizzazione del partito. “Abbiamo richiestolasuapresenza-diceLoredana Legrottaglie, a capo della Commissione regionale di garanzia – per capire cosa fare in queste due province. Al momento, siamo orientati per la prosecuzione delle elezioni dei segretari. Al di là di quello che alcuni candidati denunciano, non stiamo riscontrando anomalie”.

Ad oggi, è Cerignola, in Capitanata, l’unico caso sul quale è stata richiesta una verifica formale. A far drizzare le antenne è stato il segretario cittadino, Tommaso Sgarro: “È inaccettabile il mercimonio sui consensi che c’è stato la sera del voto ad opera di alcuni noti veterani del tesseramento coatto”. L’anomalo scontro, in terra foggiana, è tra due renziani, Michele Piemontese e Michelangelo Lombardi, quest’ultimo sostenuto dall’assessore regionale alla Sanità, Elena Gentile. Rischia di essere sospeso, poi, il congresso leccese. Per monitorarlo è stato inviato come osservatore, il parlamentare laziale Roberto Morassut. La denuncia sui tesseramenti gonfiati è di Alfonso Rampino, candidato supportato dai parlamentari Teresa Bella-nova e Salvatore Capone, ma attualmente il più in difficoltà. A sparigliare le carte, a giochi già iniziati, sarà, tuttavia, la disposizione data da Luigi Berlinguer: salta il regolamento solo pugliese, che, al primo turno, prevedeva l’elezione dei segretari provinciali con il voto del 50 per cento uno degli iscritti, invece che dei delegati, come altrove. Una retromarcia che contribuirebbe a vanificare, qualora ci fossero, gli “acquisti” in extremis di pacchetti di tessere. Basilicata: niente casi ma tanti maggiorenti È il nuovo uomo forte del Pd lucano, Roberto Speranza, ma non ancora così forte da staccarsi dal “grande vecchio” Filippo Bubbico che, dicono, per lui ha sempre avuto un debole. Alti e bassi tra Roma e Potenza, per il giovane Roberto, classe 1979, a trent’anni già segretario regionale del Pd regionale. Ha dovuto mollare la presa un mese fa: proprio quando la sua carriera politica nazionale lo mostrava più in forma, eletto deputato a marzo e poi capogruppo del Pd alla Camera, scopre di avere fiato corto a casa sua: primarie per le elezioni regionali, lui punta su Piero La Corazza, ma vince Marcello Pittella. Speranza lascia la poltrona di segretario regionale, sulla quale siede adesso il lettiano Vito de Filippo, ex governatore a lungo braccio destro di Bubbico che resta sempre in piedi. Sono questi gli equilibri del Pd lucano, in vista delle primarie nazionali, con Bubbico sempre pronto a fare da ago della bilancia. A 38 anni dalla sua prima battaglia politica – occupava il guardino di via Meda, a Roma, per impedirne la cementificazione – Bubbico è viceministro dell’Interno con medaglia di saggio, appostagli dal presidente Giorgio Napolitano. È un uomo che sa aspettare. Nel 2005 – trent’anni dopo – torna in via Meda, da governatore lucano, accompagnato dal sindaco Veltroni per inaugurarvi un parco. L’unico vero tradimento che si ricordi, fu quello ordito dai bachi da seta che, un giorno, ebbe l’idea di allevare – utilizzando anche fondi europei – senza alcun successo. Erano gli anni in cui l’ex pm Luigi de Magistris lo definiva “il collante tra quella parte della politica, della magistratura e degli imprenditori, che fanno affari in violazione di legge”. Il tempo diede a Bubbico piena soddisfazione: l’ex pm fu trasferito e chi n’ereditò l’inchiesta decise d’archiviare. Mai nessuna condanna, resta un’indagine aperta per la nomina, nel 2005, di un consulente in Regione che, secondo l’accusa, fu illegittima: fascicolo destinato alla prescrizione. Nel novembre 2003 Berlusconi voleva costruire, a Scanzano Jonico, il deposito unico per le scorie nucleari. Bubbico guidò un corteo di 100 mila lucani: dimenticò di rivelare che lui di quel deposito aveva saputo in anticipo

 

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