Il Giornale: “Kyenge e lo ius soli per tutti: è italiano anche chi cresce qui”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 27 Dicembre 2013 - 11:39 OLTRE 6 MESI FA
Kyenge e lo «ius soli» per tutti: è italiano anche chi cresce qui

Kyenge (LaPresse)

ROMA – Cecile Kyenge parla su Twitter di cittadinanza pure ai bimbi stranieri nati all’estero. E a Natale va alla mensa dei poveri con le figlie e le tv.

Scrive Stefano Filippi sul Giornale:

Cittadini per luogo di nasci­ta, per sangue e forse, fra un po’ di tempo, anche per crescita. Cécile Kyenge non finisce di stu­pire. Dove non erano arrivati i padri del diritto romano i quali avevano codificato lo ius soli e lo ius sanguinis , e le cose sono andate discretamente bene per circa duemila anni, giunge ora la ministra dell’Integrazione. Che con un ponderoso trattato di diritto costituzionale sintetiz­za­to in un tweet sancisce la rivo­luzione copernicana dell’ana­grafe. «2014 verso una nuova cit­tadinanza: chi nasce e/o cresce in Italia è italiano!», scrive.

Chi deve recuperare le posi­zioni perdute è portato a strafa­re. Kyenge non sfugge alla rego­la. Criticata dentro e fuori il go­verno, messa alle strette nel suo partito per l’immobilismo da­vanti alle tragedie degli sbarchi e alle vergogne dei centri di ac­coglienza e di identificazione, da qualche giorno la ministra ha imbastito una campagna per rifarsi l’immagine rovinata. Ed eccola dare interviste a gior­nali e tv scaricando tutte le col­pe sul ministero dell’Interno (dimenticando che gran parte delle deleghe sull’immigrazio­ne f­anno capo a un suo compa­gno di partito, il viceministro Fi­lippo Bubbico) oppure twittan­do corbellerie giuridiche.

Secondo la ministra, baste­rebbe crescere in Italia per di­ventarne cittadini. Crescere quanto? Mesi, anni, settima­ne? Bisogna frequentare qual­che scuola? Avere un posto di la­voro? È necessario o no cono­scere l’italiano? Chi stabilisce la crescita minima per avere la cittadinanza? Insomma, che cosa significa la frase «chi cre­sce in Italia è italiano» se non l’ennesimo luogo comune, uno slogan buono per guada­gnare altro spazio su giornali e tv? Nemmeno nel Pd danno molta corda a Cécile Kyenge: soltanto Davide Faraone, re­sponsabile Welfare dei demo­cratici, si dice d’accordo.

Rispetto a qualche giorno fa, quando lavandosi le mani del problema aveva fatto lo scarica­barile sul Viminale e sostenuto che le sue competenze si limita­no a stabilire le «linee guida»de­gli interventi, il ministro ha cor­retto il tiro. «La mia attività – ha scritto in un altro tweet- è impe­gnata sul miglioramento delle misure di accoglienza». Ma i tweet non bastano. Scortata da fotografi e telecamere, Kyenge ha trascorso la mattina di Nata­le in una mensa per i poveri, il centro Astalli di Roma gestito dai gesuiti, l’ordine di Papa Francesco. Bergoglio l’aveva già visitato il 10 settembre scor­so: una scelta ben ponderata, quella del ministro (…)