![I signor No](https://www.blitzquotidiano.it/wp/wp/wp-content/uploads/2014/01/z252-300x222.jpg)
ROMA, 27 GEN – A Berlusconi non va giù che ci siano oppositori alla trappola in cui lui ha fatto cadere Matteo Renzi, segretario del Pd al guinzaglio di Denis Verdini e il Giornale attacca i più noti e prestigiosi: Beppe Grillo, Stefano Rodotà, Eugenio Scalfari, Giovanni Sartori.
Quattro foto tipo segnaletiche:
Beppe Grillo: “Con quella legge elettorale il M5S è senza scampo L’hanno fatta per fermarci, siamo la variante impazzita”.
Stefano Rodotà: “L’Italicum è una riedizione del Porcellum, anzi in parte lo peggiora. Le elezioni diventerebbero una roulette”.
Eugenio Scalfari: “La legge elettorale voluta da Renzi e Berlusconi riduce al silenzio le forze minori. Come si esce da questo imbroglio?”
Giovanni Sartori: “Siccome sono io che ho inventato a suo tempo le etichette Porcellum e Mattarellum ci provo ancora: io lo chiamerei Bastardellum”.
L’articolo di Gian Maria De Francesco:
Giovanni Sartori sul Corriere l’ha chiamato Bastardellum . Scherzi della senescenza: si tende a perdere la misura. E così per bocciare l’ Italicum , il proporzionale di coalizione con doppio turno proposto da Berlusconi e da Renzi, il politologo non s’è fatto scrupoli: non si può sovrarappresentare una coalizione di minoranza.
Opinioni legittime, ma capita che il professor Sartori alzi il ditino (cioè utilizzi il Corriere per le sue elucubrazioni) ogni qualvolta governo e Parlamento decidano che è ora di snellire l’impalcatura istituzionale. La riforma del centrodestra del 2005 (di fatto ripresa assieme all’ Italicum )? Ecco cosa scrisse: «Cambiare una buona (relativamente buona) costituzione per una cattiva è un “cambismo” stolto e dannoso. Tra professionisti del «no» alle riforme e amore dell’immobilismo c’è corrispondenza di amorosi sensi. Ad esempio, un altro ottuagenario, il fondatore di Repubblica , Eugenio Scalfari, ieri nella sua consueta articolessa s’è speso personalmente contro la proposta. La riforma non va bene perché «cancella anche i partiti minori disposti ad allearsi col Pd» e soprattutto perché «il mandato parlamentare non può avere nessun vincolo».
Sono sottigliezze, ma hanno una loro importanza. Il partito di Largo Fochetti non boccia Renzi per la «sintonia» con il Caimano ( a questo ci pensa Rep. ), ma perché vuole distruggere quella «gioiosa macchina di guerra» del centrosinistra con i suoi Vendola,Tabacci e compagnia che vorrebbero l’antiberlusconismo in Costituzione. E soprattutto perché, fidelizzando i parlamentari, si porrebbe fine al «mercato delle vacche» che ha prodotto fulgidi esempi come Gianfranco Fini e Marco Follini, all’uopo pronti a tirare la carretta alla sinistra.
Il «fronte del no» si è da poco tempo arricchito di una nuova schiera: il grillismo militante. Il «no» di Grillo alle riforme che non abbiano ricevuto la sua (e di Casaleggio) bollinatura via web sono solo lacrime di coccodrillo. L’ostinato isolazionismo politico della sua formazione s’è ritorto contro di essa. Tagliato fuori dall’intesa BerlusconiRenzi, non fa che ripetere: «Vogliono fermarci perché siamo la variabile impazzita». Salvo exploit, l’M5S sarebbe molto ridimensionato.
Nei suoi rifiuti «di convenienza » i grillini hanno trovato un compagno di strada, il professor Stefano Rodotà, un professionista ottantenne della politica presentato ai tempi delle elezioniquirinalizie come homo novus . Un alfiere della democrazia rappresentativa. «No alle modifiche di parte!», ha tuonato Rodotà-tà-tà (come lo acclamavano i pentastellati). No al monocameralismo, no all’ampliamento dei poteri del premier, no a tutto. Perché la Costituzione, applicata fino in fondo,valorizza l’assemblearismo permanente, il dibattito perpetuo, l’irresponsabilità.
Ecco perché il «partito dei magistrati » (sponsorizzato dai Circoli Libertà e Giustizia cari all’ingegner De Benedetti) è per l’immutabilità.Quando la costituzionalista Lorenza Carlassare sgrana il rosario «solidarietà ed eguaglianza, esistenza libera e dignitosa » non si sta solo opponendo alle riforme ma sta sponsorizzando l’immutabilità di un assetto nel quale la magistratura è libera di intervenire sulle decisioni politiche. Idem per il no alle riforme della Cgil, un niet lungo trent’anni: ufficialmente una difesa del principio di rappresentanza. In pratica un «no» a qualsiasi limite al suo potere di veto.