Il Giornale: “I signor No contro la riforma della legge elettorale”

I signor No
I signor No

ROMA, 27 GEN – A Berlusconi non va giù che ci siano oppositori alla trappola in cui lui ha fatto cadere Matteo Renzi, segretario del Pd  al guinzaglio di Denis Verdini e il Giornale attacca i più noti e prestigiosi: Beppe Grillo, Stefano Rodotà, Eugenio Scalfari, Giovanni Sartori.

Quattro foto tipo segnaletiche:

Beppe Grillo: “Con quella legge elettorale il M5S è senza scampo L’hanno fatta per fermarci, siamo la variante impazzita”.

Stefano Rodotà: “L’Italicum è una riedizione del Porcellum, anzi in parte lo peggiora. Le elezioni diventerebbero una roulette”.

Eugenio Scalfari: “La legge elettorale voluta da Renzi e Berlusconi riduce al silenzio le forze minori. Come si esce da questo imbroglio?”

Giovanni Sartori: “Siccome sono io che ho inventato a suo tempo le etichette Porcellum e Mattarellum ci provo ancora: io lo chiamerei Bastardellum”.

L’articolo di Gian Maria De Francesco:

Giovanni Sartori sul Cor­riere l’ha chiamato Bastardel­lum . Scherzi della senescenza: si tende a perdere la misura. E così per bocciare l’ Italicum , il proporzionale di coalizione con doppio turno proposto da Berlusconi e da Renzi, il polito­logo non s’è fatto scrupoli: non si può sovrarappresentare una coalizione di minoranza.
Opinioni legittime, ma capi­ta che il professor Sartori alzi il ditino (cioè utilizzi il Corriere per le sue elucubrazioni) ogni­ qualvolta governo e Parlamen­to decidano che è ora di snellire l’impalcatura istituzionale. La riforma del centrodestra del 2005 (di fatto ripresa assieme al­l’ Italicum )? Ecco cosa scrisse: «Cambiare una buona (relativa­mente buona) costituzione per una cattiva è un “cambismo” stolto e dannoso. Tra professio­nisti del «no» alle riforme e amo­re dell’immobilismo c’è corri­spondenza di amorosi sensi. Ad esempio, un altro ottuagena­rio, il fondatore di Repubblica , Eugenio Scalfari, ieri nella sua consueta articolessa s’è speso personalmente contro la pro­posta. La riforma non va bene perché «cancella anche i partiti minori disposti ad allearsi col Pd» e soprattutto perché «il mandato parlamentare non può avere nessun vincolo».
Sono sottigliezze, ma hanno una loro importanza. Il partito di Largo Fochetti non boccia Renzi per la «sintonia» con il Ca­imano ( a questo ci pensa Rep. ), ma perché vuole distruggere quella «gioiosa macchina di guerra» del centrosinistra con i suoi Vendola,Tabacci e compa­gnia che v­orrebbero l’antiberlu­sconismo in Costituzione. E so­prattutto perché, fidelizzando i parlamentari, si porrebbe fine al «mercato delle vacche» che ha prodotto fulgidi esempi co­me Gianfranco Fini e Marco Fol­lini, all’uopo pronti a tirare la carretta alla sinistra.
Il «fronte del no» si è da poco tempo arricchito di una nuova schiera: il grillismo militante. Il «no» di Grillo alle riforme che non abbiano ricevuto la sua (e di Casaleggio) bollinatura via web sono solo lacrime di cocco­drillo. L’ostinato isolazioni­smo politico della sua formazio­ne s’è ritorto contro di essa. Ta­gliato fuori dall’intesa Berlusco­ni­Renzi, non fa che ripetere: «Vogliono fermarci perché sia­mo la variabile impazzita». Sal­vo exploit, l’M5S sarebbe molto ridimensionato.
Nei suoi rifiuti «di convenien­za » i grillini hanno trovato un compagno di strada, il profes­sor Stefano Rodotà, un profes­sionis­ta ottantenne della politi­ca presentato ai tempi delle ele­zioniquirinalizie come homo novus . Un alfiere della demo­crazia rappresentativa. «No al­le modifiche di parte!», ha tuo­nato Rodotà-tà-tà (come lo ac­clamavano i pentastellati). No al monocameralismo, no al­l’ampliamento dei poteri del premier, no a tutto. Perché la Costituzione, applicata fino in fondo,valorizza l’assembleari­smo permanente, il dibattito perpetuo, l’irresponsabilità.
Ecco perché il «partito dei ma­gistrati » (sponsorizzato dai Cir­coli Libertà e Giustizia cari al­l’ingegner De Benedetti) è per l’immutabilità.Quando la costi­tuzionalista Lorenza Carlassa­re sgrana il rosario «solidarietà ed eguaglianza, esistenza libe­ra e dignitosa » non si sta solo op­ponendo alle riforme ma sta sponsorizzando l’immutabili­tà di un assetto nel quale la ma­gistratura è libera di interveni­re sulle decisioni politiche. Idem per il no alle riforme della Cgil, un niet lungo trent’anni: ufficialmente una difesa del principio di rappresentanza. In pratica un «no» a qualsiasi limi­te al suo potere di veto. 

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