Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: “Il metodo Esposito”

il fatto
La prima pagina del Fatto Quotidiano del 6 marzo

ROMA “Il metodo Esposito”, questo il titolo dell’editoriale a firma di Marco Travaglio sulle pagine del Fatto Quotidiano del 6 marzo:

Un giorno o l’altro qualcuno dovrà vergognarsi e chiedere scusa al giudice Antonio Esposito, presidente della II sezione della Cassazione. Bisogna tornare indietro agli anni d’oro di Mani Pulite per trovare una campagna di screditamento così forsennata contro un magistrato onesto. Una campagna talmente trasversale che, a spiegarla, non basta neppure la sentenza di condanna di B. nel processo Mediaset. Infatti c’è dell’altro: Esposito, oltre ad aver seguito con rigore e serietà una montagna di mafia e/o malaffare politico e finanziario, l’11 giugno 2013 ha presieduto il collegio che ha respinto la ricusazione presentata dall’ex capitano Giuseppe De Donno contro il gup di Palermo Piergiorgio Morosini, un altro giudice onesto e coraggioso che aveva rinviato a giudizio tutti gli imputati del processo sulla trattativa Stato-mafia. Su quella ricusazione i molti amici degli imputati politici, dal Quirinale in giù, avevano puntato tutte le speranze di far saltare il processo. Che invece, grazie a Esposito, riprese subito spedito davanti alla Corte d’Assise di Palermo. Un mese dopo, il 9 luglio, Esposito divenne assegnatario – come presidente di turno della sezione feriale della Cassazione – del processo Mediaset. E il 1° agosto lesse il dispositivo della condanna che ha terremotato la politica italiana tutta, mettendo in crisi le larghe intese che sorreggevano il governo Letta-Berlusconi-Napolitano. Poteva Esposito pensare di passarla liscia, dopo aver fatto il proprio dovere non una, ma due volte nel giro di un mese nei due processi più temuti dal sistema di potere che infesta l’Italia? No che non poteva. Aggredito per tutta l’estate da una campagna politico-giornalistica berlusconiana e mai difeso da chi avrebbe dovuto, cioè il centrosinistra e soprattutto il Quirinale e il Csm, Esposito finì addirittura alla sbarra a Palazzo dei Marescialli, con proposta di trasferimento d’ufficio, per un’intervista (manipolata) a Il Mattino.

Era accusato di aver anticipato le motivazioni della sentenza Mediaset prima che fossero depositate. Accusa che tutti sapevano fin da subito essere falsa: nel testo concordato con il giornalista, l’intervista non conteneva alcun accenno – né nelle domande, né nelle risposte – a B. o al processo Mediaset. Il giudice, parlando in generale di questioni giuridiche, aveva soltanto spiegato che la formula “non poteva non sapere” non esiste in diritto: per condannare un imputato bisogna dimostrare che sapeva o che faceva. La domanda “Non è questo il motivo per cui si è giunti alla condanna? E qual è allora?”, fu aggiunta dal giornalista sul testo già concordato via fax e all’insaputa del giudice, così da poter sparare un bel titolo su B. “condannato perché sapeva”. A novembre, dopo tre mesi di graticola, il Csm dovette arrendersi a un’evidenza chiara fin da subito e archiviare il trasferimento di Esposito. Ma i consiglieri Pdl, per sfregiarlo ugualmente, proposero di inserire una nota di demerito nel suo fascicolo personale: proposta fatta propria a fine febbraio dalla IV commissione del Csm. Così lo sputtanamento continua alla vigilia della decisione del Consiglio giudiziario, che ogni quattro anni deve confermare o revocare gli incarichi direttivi ai giudici “apicali”. La speranza dei molti nemici di Esposito è che venga cacciato da presidente della II sezione. E non è detto che restino delusi: il Consiglio giudiziario doveva esprimersi il 3 marzo, ma ha stranamente rinviato il verdetto senza fissare la nuova data. Così l’assedio a Esposito prosegue, a tenaglia, da tre fronti: non solo la IV commissione del Csm e il Consiglio giudiziario, ma anche la Procura generale della Cassazione. (…)

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