ROMA – Nessuno può dirsi innocente di fronte ai veleni dell’Ilva. Nel triangolo Taranto- Roma-Milano, tutto e tutti hanno avuto un prezzo. Non necessariamente economico. Tutto e tutti ne sono irrimediabilmente rimasti sporcati e dunque prigionieri.
Nei trentuno faldoni di atti e nelle 50mila intercettazioni telefoniche dell’inchiesta della Procura di Taranto depositati in questi giorni e di cui Repubblica è in possesso, è la prova documentale che il Sistema Riva e il capitalismo di relazioni di cui è stato espressione hanno appestato, insieme all’aria, all’acqua, al suolo di Taranto, il tessuto connettivo della politica, della pubblica amministrazione, dei controlli a tutela dell’ambiente e della salute.
Scrivono Carlo Bonini e Giuliano Foschini su Repubblica:
A Girolamo Archinà, il Rasputin dei Riva, l’ex onnipotente capo delle relazioni esterne Ilva da qualche giorno tornato libero dopo un anno e mezzo di carcere, si sono genuflessi nel tempo segretari di partito, ministri della Repubblica, arcivescovi, sindacalisti, giornalisti. Ascoltarne la voce chioccia al telefono mentre blandisce, lusinga, minaccia i suoi interlocutori, dà la misura di quanto estesa, profonda e antica fosse la rete che ha consentito di collocare l’acciaieria in uno stato di eccezione permanente.
Il cuore e il portafoglio dei Riva battono a destra. Da sempre. Dagli anni 2004-2006. È di 575mila euro il finanziamento a Forza Italia, di 10mila quello a Maurizio Gasparri e di 35mila quello all’ex governatore della Puglia e poi ministro Raffaele Fitto. Uomo cui la famiglia è particolarmente grata per aver ritirato, il giorno prima della (unica) sentenza di condanna, la costituzione di parte civile della Regione nei confronti dell’Ilva, consentendo un risparmio di qualche milione di euro. Ma il capitalismo di relazioni impone di scommettere anche sui cavalli di altra sponda.
«Bersani? Si sentono tutte le settimane», assicura Archinà a chi lo avvisa di un interesse dell’allora segreterio del Pd ad un contatto con la famiglia Riva (che per altro ne ha finanziato la campagna elettorale del 2006 con 98 mila euro). Quel Pd, il cui deputato Ludovico Vico eletto a Taranto, è telecomandato come un uomo azienda. E anche con il governatore della Regione, Nichi Vendola, che pure sarà l’unico alla fine a battezzare due leggi contro i fumi dell’Ilva, è un salamelecco di “auguri sinceri” per le feste comandate, attestati di stima. Non solo nella telefonata ormai nota in cui si ghigna della protervia nell’azzittire un giornalista petulante e per la quale Vendola ha fatto pubblicamente ammenda. Ma anche in un’altra conversazione in cui Archinà si offre di fare da “mezzano” per un incontro tra il governatore e l’allora presidente di Confindustria Marcegaglia («Così diamo uno scossone al centro-destra»), cogliendo l’occasione per sollecitare un intervento «caro ai Riva» sulle nomine all’autorità portuale di Taranto. Non esattamente il core business dell’acciaieria.
«Apriamo gli occhi sull’autorità portuale di Taranto», dice Archinà a Vendola. Che risponde: «L’ammiraglio va bene. Non è un ladro. E’ una persona sobria e seria. Siccome è di destra, ho detto al ministro: “È uno vostro, ma è una persona per bene. Niente da eccepire». Ma il problema di Archinà non è «l’ammiraglio». È impedire la nomina di tale Russo, «sponsorizzato dal traditore Michele Conte». «Lei lo sa — insiste con il governatore — che Conte è passato coordinatore cittadino del Pdl?». Vendola conviene: «Michele Conte, mamma mia. Uno raccomandato da tutti. Dalle organizzazioni per la liberazione della Palestina ai gruppi comunisti estremisti. Noi abbiamo il potere di fare bene, ma il ministro ha quello di fare le scelte. Comunque grazie di questa informazione ».
Non c’è ente locale o ministero dove Archinà e i Riva non possano arrivare. Dovenon si inciampi in «un amico». Come all’Ambiente, dove Corrado Clini, allora direttore generale e futuro ministro del governo Monti, architetto dell’Aia che assicurerà la sopravvivenza dell’acciaieria, viene rappresentato come uomo a disposizione. «Stamattina ho visto per altri motivi il nostro amico Corrado — confida ad Archinà tale Ivo Allegrini del Cnr — Nel casino che adesso praticamente sta investendo il ministero dell’Ambiente, ho praticamente un’opportunità. A Corrado hanno dato la delega che danno pure ad altri direttori generali no! Allora mi ha detto: “Fatemi unanota del casino che sta succedendo giù a Taranto, poiché nel limite del possibile io cerco di rimettere le cose in sesto». Una solerzia che troverebbe spiegazione — per quanto si ascolta in una seconda telefonata tra Allegrini e Archinà — in qualcosa che «sta a cuore a Clini in Brasile» e per la quale «è necessario un passaggio con i Riva».
Già, nel Sistema Riva niente si fa per niente. Anche con gli uomini di Chiesa. Come quando don Marco dell’Arcivescovado di Taranto bussa a quattrini per la presentazione di un libro cui presenzierà Monsignor Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio per i Beni culturali. «Su cosa mi devo sbilanciare?», chiede Archinà. «La sponsorizzazione totale costerà 25mila — fa di conto don Marco — E l’impresa Garibaldi ha detto che vuole contribuire per 7-8 mila. Va bene?». Naturalmente va bene. Come vanno bene i sette assegni da 15mila euro l’uno staccati alla Curia e all’Arcivescovo Monsignor Benigno Papa per rendere più liete le feste comandate e far tacere sui veleni dell’acciaieria.
Del resto, per i Riva comprarsi le indulgenze sembra facile quasi quanto scegliersi i sindacalisti. E per giunta, Archinà non deve neppure chiedere. «Senti Girolamo — gli spiega al telefono Daniela Fumarola della Cisl — siccome io sto lavorando sul nuovo gruppo dirigente della Fim, mi fai sapere qualcosa rispetto al ragazzo, al delegato nostro alla Rsu, aspetta come si chiama.. quello di Avetrana.. ora mi salta il nome.. un ragazzo bruno con gli occhi neri, è giovane.. Io ce l’ho sempre a mente perché è una cosa che ti devo chiedere e ora mi è sfuggito il suo cognome. Praticamente io devo fornire indicazionianche alla segreteria nazionale suchi puntare per il dopo Lazzaro» (…)
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