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Isis a foreign fighters: Non andate in Siria, colpite Italia

di admin |13 Maggio 2016 11:32

Isis a foreign fighters: Non andate in Siria, colpite Italia

ROMA – “Non andare in Siria ma colpite l’Italia”. L’Isis lancia un appello ai suoi foreign fighters e a dirlo è Franco Roberti, il magistrato responsabile della Direzione nazionale antimafia, che spiega di essere molto preoccupato per il rischio di attacchi terroristici in Italia. Roberti è preoccupato non solo per il terrorismo internazionale dell’Isis, ma anche per la violenza della mafia e della camorra, due pericoli per il nostro Paese.

Francesco Grignetti su La Stampa scrive che l’Italia continua a tenere la guardia alzata durante questo periodo di allerta terroristica internazionale a causa dell’Isis e anche dopo l’arresto dei tre presunti terroristi a Bari lo scorso 10 maggio:

“Procuratore, da Bari a Milano, a Venezia, nell’ultima settimana sono spuntate tante cellule di foreign fighters, reclutatori, o semplici simpatizzanti dell’Isis. Dobbiamo spaventarci?

«Direi che queste scoperte innanzitutto sono la prova provata di quanto siano efficaci le indagini di polizia e d’intelligence nel nostro Paese, sia nell’azione preventiva quando si giunge a un’espulsione precauzionale di un soggetto pericoloso, sia quando ci sono elementi per andare davanti a un magistrato. Ma la somma delle notizie è anche la conferma che siamo di fronte a un fenomeno complesso. Oltretutto ci sono anche intrecci inquietanti: il terrorismo si autofinanzia con traffici di armi, di oggetti d’arte, di droga, anche di esseri umani. Sono attività tipicamente mafiose, al servizio di strategie eversive».

Alcuni giorni fa, un editorialista di questo giornale, l’ambasciatore Stefano Stefanini, sosteneva che se finora ci è andata bene, grazie a investigatori eccellenti e a buone leggi, non c’è garanzia che possa andare sempre così. Tanto più che il Califfato tra Siria e Iraq sembra in difficoltà, deve ritirarsi dai territori occupati, ha problemi a far affluire i militanti, e ora aizza a colpire in Occidente.

«Non escludo questo scenario. E lo dico non basandomi su invenzioni, ma perché mi attengo ai fatti. L’inchiesta dei colleghi della Dda di Milano ha dimostrato che c’era almeno un reclutatore dalla Siria che invitava degli aspiranti foreign fighters a non andare lì, ma a colpire in Italia. Ed è vero: la situazione di Isis è in grande evoluzione sul campo. In tutta evidenza un’evoluzione in Siria, comporta un’evoluzione anche da noi».

Gli 007 di Europol, a loro volta, insistono nel lanciare l’allarme su chi potrebbe nascondersi sotto i flussi d’immigrazione. Temono l’arrivo di nuovi terroristi. Lei è d’accordo?

«Anche qui: non escludo nessuna ipotesi. Il che non vuol dire, naturalmente, che l’Europa debba tirarsi indietro di fronte all’emergenza umanitaria, bensì che occorre controllare al meglio chi arriva. Mi sembra difficile, però, immaginare che l’Isis utilizzi i barconi per infiltrare cellule organizzate, con piani operativi in tasca, pronte a colpire. Vedo piuttosto su quei barconi in arrivo dall’Africa la possibilità che ci siano persone in via di radicalizzazione e che potrebbero finire di radicalizzarsi in Europa. Almeno questo ci dicono alcune inchieste. Penso anche che sia un bene che Europol sia stata coinvolta nella gestione degli hotspot. In fondo a questo scopo è nata Europol, ovvero per il coordinamento tra le polizie nazionali. La gestione in comune dell’emergenza immigrazione mi sembra un caso di scuola».

Procuratore Roberti, passando all’altra competenza, lei ha fatto innumerevoli indagini sulla camorra. Che cosa sta accadendo nella sua Napoli?

«Un fenomeno ricorrente: quando si sgominano i clan storici, e guardi che oggi tutti i vecchi capi sono in carcere, arrivano i nuovi che subito si combattono per il controllo del territorio. Questa volta, però, la situazione è resa più grave dall’arruolamento di tanti giovanissimi che sono incoscienti, nel senso che non hanno alcuna consapevolezza della vita e della morte, non hanno paura del carcere o di finire ammazzati. Questi giovanissimi, peraltro, hanno mutuato modalità gangsteristiche e sono molto pericolosi. Per fortuna, devo dire, il governo si è reso conto che bisogna investire su Napoli, e non soltanto in risorse indispensabili per l’apparato di repressione, ma anche per rivitalizzare la società, per combattere il fenomeno dell’evasione scolastica – che se nella media nazionale è sul 10%, a Napoli supera il 30% – per tenere aperti al pomeriggio i centri sportivi. È su questo terreno che si fa la prevenzione, è qui che si vince o si perde la sfida contro la camorra».

Non solo da Napoli, ma anche dalla Puglia giunge un grido di allarme. Lei non vede una saldatura tra due emergenze criminali?

«Guardi, la connessione c’è ed è storica. Ricordo che la Sacra Corona Unita nacque su input di Raffaele Cutolo, che attraverso i pugliesi voleva gestire il contrabbando delle sigarette. Ed è verissimo che c’è un rigurgito di violenza, oltre che a Napoli, anche nel Foggiano e nel Leccese, con similari accenti gangsteristici».

E intanto in Puglia si organizzava un attentato al procuratore di Napoli su mandato della camorra.

«La scoperta dei preparativi di un attentato al procuratore Giovanni Colangelo, che ha tutta la mia solidarietà, è il segno innanzitutto dell’efficacia dell’azione della procura e della Dda di Bari»”.

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