L’Italia non ha chiesto flessibilità. Martino Cervo, Libero

di Redazione Blitz
Pubblicato il 1 Luglio 2014 - 15:36| Aggiornato il 2 Luglio 2014 OLTRE 6 MESI FA
L'articolo di Martino Cervo

L’articolo di Martino Cervo

ROMA – “In Europa non ho sentito richieste di flessibilità, né dal primo ministro italiano né da chiunque altro”.

“L’intervista rilasciata dal ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble al Financial Times (disponibile con registrazione gratuita a questo indirizzo) ha una solidità definitiva” scrive Martino Cervo di Libero.

L’articolo completo:

Sarà significativo vedere l’eco del lungo colloquio con la testata economica sui nostri giornali oggi, e paragonarla alla risonanza avuta dalla frase del portavoce di Angela Merkel del 23giugno scorso: «Il patto di stabilità e crescita», disse Steffen Seibert, «fornisce opzioni per l’applicazione flessibile, valutando i singoli casi».

Tanto bastò a scatenare un tripudio con i senatori Pd pronti a festeggiare un’Europa che cambiava verso: «La flessibilità non è più un tabù: il documento che il governo italiano ha presentato a Van Rompuy ha fatto breccia. L’Italia, grazie a una rigorosa politica di rilancio,è finalmente tornata protagonista in Europa».

Una settimana (e un vertice europeo) dopo, il 71enne custode della politica economica di Berlino ribalta radicalmente la prospettiva e fornisce una versione molto più vicina a quella che Libero ha raccontato ai suoi lettori, e quantomeno distante dall’ottimismo verbale sfoggiato dal presidente del consiglio italiano a margine del raduno di Bruxelles.

Il colloquio, che vede protagonisti Schäuble (il cui cognome è curiosamente scritto male: Schaüble anziché Schäuble) e i giornalisti Stefan Wagstyl e Jeevan Vasagar, parte dalle prospettive nell’ambito del G7.

Ma la seconda domanda è immediatamente riferita all’Italia. Il Ft chiede: «Le leadership dei Paesi sudeuropei, tra cui il premier italiano Matteo Renzi,vorrebbero più flessibilità nel patto di stabilità dell’eurozona per accelerare il cammino della crescita. Come sostenitore di una stringente disciplina fiscale, non sta perdendo su questo fronte?».

La risposta non si può definire barocca: «In Europa non ho sentito questa richiesta, né dal primo ministro italiano né da chiunque altro».

Quel che segue è una perfetta esposizione della Weltanschauung tedesca: contro la crisi servono le riforme per ridurre il debito, la Germania è la prova che il rigore non impedisce la crescita, eccetera eccetera.

La realtà di questi anni,con Paesi inchiodati all’impossibile equazione tra contenimento fiscale e ripresa, non entra in gioco.

Cadono, paragrafo dopo paragrafo, le ricostruzioni ipotetiche dell’opinione pubblica italiana. Primo: quella secondo cui dopo le elezioni politiche tedesche sarebbe cambiato tutto, sotto la spinta socialista dell’Spd.

Ecco Schäuble: «Abbiamo degli accordi nella coalizione. E comunque il ministro delle Finanze lo faccio io, sulla base di questi accordi. Siegmar Gabriel (leader Spd,ndr) ha esplicitamente detto che non chiede alcun aggiustamento alla procedura europea sul deficit: anzi, la sua posizione è all’opposto.

Come ripeto sempre, non dobbiamo parlare degli aggiustamenti da fare rispetto alle regole, dobbiamo fare quel che c’è scritto. Il problema dell’Europa non sono le regole ma il loro adempimento».

E così salta anche il secondo wishfulthinking delle ultime settimane: quello secondo cui la vittoria di Renzi avrebbe scardinato l’equilibrio politico europeo a favore dei Paesi debitori.

Schäuble non molla un centimetro. Il coriaceo ministro, costretto su una sedia a rotelle da quando, il 12 ottobre 1990, subì l’agguato di un pazzo che gli sparò in faccia e alle gambe, dà la ricetta tedesca:

«Come generiamo crescita? Attraverso la fiducia di consumatori e investitori. In Germania abbiamo un alto livello di domanda. La nostra crescita è essenzialmente guidata dalla domanda interna».

Esattamente quella colpita dall’austerity in molti dei partner europei. Rivelatore anche il cinico realismo su Putin: «Mai usato l’espressione “minaccia” riferita a lui. Vogliamo una partnership più stretta. Non vogliamo sanzioni».

E tanti saluti alla voce grossa esibita dal governo tedesco. Almeno su questo punto, tuttavia, gli interessi di Berlino coincidono con i nostri.